Mondo

Germania Über Alles

I panzer hanno vinto la Coppa del mondo, la prima dopo il crollo del muro di Berlino. Una vittoria figlia del melting pot con in campo il ghanese Boateng, l’albanese Mustafi, il tunisino Khedira, i polacchi Klose e Podolski

di Redazione

Tre donne, tre Paesi, tre storie diverse. La finale di ieri al Maracanà di Rio de Janeiro tra Germania ed Argentina è stata anche questo.

La cancelliera tedesca Angela Merkel (c’era anche il presidente Gauck) ha esultato e abbracciato i giocatori che hanno regalato alla Germania il titolo di campione del mondo. A consegnare al capitano tedesco Lahm la Fifa World Cup Trophy, la coppa opera dello scultore italiano Silvio Gazzaniga, è stata Dilma Rousseff, la presidente del Brasile anche ieri contestata ogni volta che la sua immagine appariva sui maxi schermi dello stadio. Non c’era invece la presidente dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner che era rimasta a Buenos Aires per problemi di salute e, probabilmente, preoccupata più per la difficile situazione finanziaria del Paese che per l’Albiceleste.

Con questa salgono a quattro le vittorie mondiali tedesche, ma mentre le precedenti (1954, 1974, 1990) erano della Germania Ovest, quello di ora è il primo titolo senza divisioni politiche.

Ha vinto una squadra multietnica, multiculturale e patriottica, piena di campioni figli di migranti che cantavano l’inno nazionale tedesco a squarciagola. Così, al di la di quello sportivo, il ghanese Boateng, l’albanese Mustafi, il tunisino Khedira, i polacchi Klose e Podolski, hanno avuto il merito di dimostrare come può funzionare alla perfezione un insieme così variegato.

Sicuramente in questa Germania campione del mondo non c’è un fenomeno come Messi o Neymar ma c’è un  gruppo di uomini, prima che di calciatori, forti fisicamente e tecnicamente, pronti ad aiutarsi l’uno con l’altro.

La nazionale di calcio tedesca è lo specchio della Germania, uno Paese forte e con le idee chiare dove niente è lasciato al caso. Così la vittoria di Neuer (eletto miglior portiere di Brasil 2014) e compagni è frutto di un meticoloso lavoro durato dieci anni. Nel 2004, dopo il fallimento tedesco agli europei, è stata fatta un’importante programmazione, sostenuta da ingenti investimenti, per favorire il calcio nazionale ed i giovani calciatori. La vittoria di ieri è anche il frutto di questo lavoro.

È calato il sipario su Fifa World Cup 2014 anche se sotto l’ombrellone, in ufficio ed al bar se ne continuerà a parlare a oltranza. Il mondiale di calcio costituisce sotto l’aspetto mediatico una cassa di risonanza senza pari, per questo deve essere sfruttato al meglio per portare alla ribalta tematiche che vanno oltre l’aspetto puramente calcistico.

Papa Francesco, sicuramente una dei grandi delusi per l’esito della finale, insegna. Attraverso il proprio profilo Twitter ha scritto: “I mondiali hanno fatto incontrare persone di diverse nazioni e religioni. Possa lo sport favorire la cultura dell’incontro”.

Ecco, Brasil 2014 è stata un’occasione persa per accendere un riflettore su Israele e Palestina.
 

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