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Gestione degli archivi e dei servizi bibliotecari. Dalla CAeB di Milano la strada giusta per un business a misura di cooperativa

Una storia di successo in tempo di crisi

di Riccardo Bianchi

Correva l’anno 1978, la disoccupazione giovanile galoppava e lo Stato non aveva tanti soldi da investire nella cultura. Così, ispirati da un professore, 16 neolaureati in Storia all’università di Milano decisero di sfruttare le agevolazioni offerte dall’ennesimo governo Andreotti per mettere in piedi una cooperativa in un campo dove le coop sono ancora quasi sconosciute: l’archivistica. Il primo fatturato ammontò a 500mila lire. Oggi è il 2011, la disoccupazione giovanile sfiora il 30%, nella classe dirigente italiana c’è chi dice che con la cultura non si mangia, ma la CAeB è sempre lì e il suo bilancio ha superato i 5 milioni di euro. Anzi, in un momento di ristrettezze è riuscita a mantenere le commesse dagli enti pubblici e ad ottenerne altre da fondazioni, società e privati cittadini. Conta 220 addetti, di cui 180 soci, tutti laureati. E nel palmares dei lavori svolti, fitto di nomi che si distendono su tre pagine, si spazia dall’archivio Rai a quello di Manitese, dal WWF a quasi tutti i Comuni della Lombardia.
C’è anche un altro numero che dà l’idea di cosa sia la Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria: il 73% dei suoi dipendenti è donna. Lo sono anche la presidentessa e la vice, non per una questione di quote rosa quanto perché arrivano dallo zoccolo duro, il gruppo dei fondatori: «Abbiamo iniziato con interventi straordinari», racconta Laura Panzeri, «poi ci siamo ritrovati in mano molte strutture. Alcuni di noi sono stati assunti nel pubblico, altri, come me, hanno preferito restare, avevamo voglia di fare esperienze diverse».
Lontani dallo stereotipo del topo di biblioteca asociale e un po’ addormentato, hanno mantenuto una forte attenzione al valore umano e sul loro magazine interno pubblicano ancora le foto dei 5-6 neonati che ogni anno fanno capolino in cooperativa. Anche sul lato professionale le soddisfazioni non sono mancate: «Alla Rai hanno saputo di noi dalla Biblioteca Braidense di Milano. Ricordo che nel 98 arrivammo a Roma e tutti parlavano di bit, frequenze, antenne. Eravamo spaesati, ma appena citammo “indicizzazione”, furono loro a cascare dalle nuvole. Alla fine ci affidarono Rai1».
La Rai, certo, ma ci sono stati anche altri lavori. Tantissimi, a dir la verità. «Ora siamo alle prese con vari archivi librari dei Gesuiti». Per altro con i frati hanno già avuto esperienze belle, anzi, inebrianti: «Anni fa andammo in un monastero, i fratelli erano veramente ospitali, anche troppo. Ci offrivano di continuo il vino che producevano. Iniziavamo a lavorare al mattino presto perché al pomeriggio barcollavamo, non riuscivamo più a leggere». Anche le associazioni si sono rivolte a loro: «Abbiamo insegnato ai volontari di Manitese ad organizzare la loro biblioteca. Non potevano pagarci un lavoro intero e noi abbiamo offerto una consulenza».
Adesso, in un momento in cui gli enti pubblici devono affrontare sempre più tagli, la CAeB continua a gestire biblioteche in varie parti del Nord Italia e ad ottenere incarichi, cercando di mantenere il suo stile: «Siamo una cooperativa, vogliamo valorizzare il nostro capitale umano, la formazione continua è importante», racconta Panzeri, «ma amiamo la cultura. Resto sempre stupita vedendo la biblioteca universitaria di Trento, che gestiamo noi. È aperta fino alle 24, anche la domenica, ma c’è la coda per entrare. È quello che dovrebbe essere un luogo di cultura: un presidio sociale, un punto di riferimento per i ragazzi e anche per gli anziani. Un valore per una città».


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