VITA30, i protagonisti
Giada Lonati: «Mandare nel mondo persone capaci di cura»
È una delle protagoniste della sessione dedicata al “Come cureremo?” nella due giorni organizzata per i 30 anni di VITA. Nella sua esperienza di medico palliativista, questo verbo, curare, non equivale a guarire
È una delle protagoniste della sessione dedicata al “Come cureremo?” nella due giorni organizzata per i 30 anni di VITA. Nella sua esperienza di medico palliativista, questo verbo non equivale a guarire.
La sua presenza alla sessione dedicata al Come cureremo? è già un messaggio: nell’esperienza di Giada Lonati curare infatti non è sinonimo di guarire. Lei è medico palliativista e direttrice sociosanitaria di Vidas: quindi la sua professione è quella di accompagnare le persone nel percorso di malattie terminali, cioè nell’ultimo miglio di vita. È una professione che, per come lei sempre racconta, è simile ad una chiamata.
Capii che quello era il viaggio che volevo intraprendere: incontrare la vita nel suo tratto finale
Giada Lonati, medico palliativista
«Mi avevano proposto una borsa di studio nel campo delle cure palliative. La prima volta che andai ad assistere un paziente a domicilio vissi un’esperienza travolgente. Capii che quello era il viaggio che volevo intraprendere: incontrare la vita nel suo tratto finale. La medicina palliativa ha sempre visto la morte come una parte della vita». Al tema della cura ha dedicato un libro il cui titolo è già molto esemplificativo Prendersi cura. Per il bene di tutti: nostro e degli altri (edizioni Corbaccio).
Predersi cura dell’altro fa del bene a noi
La cura è dunque un fattore reciproco. Come scrive Ferruccio De Bortoli nell’Introduzione, «prendersi cura di qualcuno, un bimbo, un vecchio, un malato, un immigrato cura in primo luogo chi si dedica all’altro, lo arricchisce e lo rende forte. Prendersi cura dell’altro, quali che siano le sue necessità, fa del bene a noi».
Il libro di Giada Lonati è pieno di un’energia positiva che passa attraverso incontri e relazioni straordinarie vissute in condizioni che, com’è facile immaginare, non sono affatto semplici. Ma proprio dalla narrazione di queste situazioni si capisce quanto sia ampia l’accezione del verbo curare: nell’accudimento di una persona bisognosa di cure, nei gesti che compiamo, nelle parole che diciamo, c’è sempre il dialogo tra due persone uguali, che arricchisce e migliora l’una e l’altra, e che per cerchi concentrici si allarga alla società intera.
Naturalmente sono esperienze che portano ad affrontare drammatici problemi. “In particolare», spiega Giada Lonati, «c’è il rapporto con l’incertezza. I medici, spesso, vogliono vendere grandi certezze, ma il dubbio fa parte di ogni scienza. È importante curare la comunicazione che, come sottolinea la legge per le Disposizioni anticipate di trattamento, comunemente note come biotestamento, è tempo di cura a tutti gli effetti».
I medici, spesso, vogliono vendere grandi certezze, ma il dubbio fa parte di ogni scienza
Giada Lonati, medico palliativista
Curare cioè riappropriarsi delle relazioni
Curare nel vocabolario di Giada Lonati significa lavorare per riappropriarsi delle relazioni. «Noi vorremmo che le cose belle durassero per sempre e che le brutte finissero subito, in realtà entrambe hanno i loro tempi. Dobbiamo essere capaci di stare dentro anche alle relazioni più faticose. È emozionante vedere persone capaci di piangere insieme».
E non ci cono solo i malati, ma anche i famigliari nell’orizzonte della cura. «I caregiver sono curanti e curati. Una ricerca dell’Ospedale Pediatrico di Padova sottolinea come, per ogni bambino malato, almeno trecento persone siano contagiate dalla sofferenza. È, a tutti gli effetti, una piccola società che si ammala. In questo senso, prendersi cura dei caregiver vuol dire mandare nel mondo persone capaci di cura».
Segui l’intervento di Giada Lonati nella sessione di venerdì 25 ottobre (ore 11) dedicata a Come cureremo. Per prenotarsi alla sessione qui
Le foto in apertura e nel corpo dell’articolo sono dell’Ufficio stampa Vidas.
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