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Media, Arte, Cultura

Gibson, la realtà della passione

Recensione del film "The Passion of the Christ" di Mel Gibson.

di Andrea Tornielli

The Passion of the Christ, il discusso film di Mel Gibson che ricostruisce in maniera efficace e brutale le ultime dodici ore della vita di Gesù, dalla cattura dell?Orto degli Ulivi all?agonia e morte sulla croce, è uno spettacolo scioccante che vale pena di vedere. Anche se, come ha giustamente rilevato il quotidiano Avvenire, si tratta “solo di un film”. Gibson, che ha prodotto la pellicola investendo 30 milioni di dollari (gli incassi del primo fine settimana negli Usa hanno già fruttato più del triplo) ha innanzitutto il merito di descrivere in maniera realistica, talvolta iperrealistica, la Passione, quel tragico episodio di cronaca nera all?origine del Cristianesimo. Criticato con largo anticipo da alcune associazioni ebraiche americane, che non l?avevano visto e pur tuttavia lo accusavano di fomentare l?antisemitismo, criticato successivamente dagli editorialisti dei principali quotidiani statunitensi per il crudo realismo di certe scene, il film di Mel Gibson fa capire allo spettatore quanta e quale brutalità e violenza abbiano accompagnato il sacrificio di Gesù di Nazareth, che – scrive lo storico Tacito nel XV libro degli Annali – “era stato condannato al supplizio ad opera del procuratore Ponzio Pilato sotto l?impero di Tiberio”. Storia di un innocente sottoposto a un processo sommario a causa dell?odio dei capi della casta sacerdotale (i sadducei collaborazionisti) e messo a morte per decisione del governatore romano, che pure, come si legge nei Vangeli, aveva inizialmente tentato di rimandarlo libero. Fin dalle scene iniziali della cattura, quando Pietro mozza con la spada l?orecchio del servo del sommo sacerdote, lo spettatore vede sotto una luce nuova quegli episodi narrati in modo asciutto e sobrio dagli evangelisti. L?episodio più atroce è quello della flagellazione: Gesù è sottoposto ai colpi strazianti di una frusta composta da più corde alle cui estremità sono fissati dei pezzetti di ferro, una tortura che ferisce in profondità e lacera la carne. Lo sapevamo che la fustigazione romana con il ?flagellum? era tremenda, così come sapevamo che la morte in croce era una fine straziante. Ma ?vedere? tutto questo sullo schermo, raccontato minuto per minuto ha l?effetto di una scossa. E poi, nel film di Gibson il racconto circostanziato di un Dio debole, di un Dio che soffre e muore (la Resurrezione è una scena di pochi secondi) sono il migliore antidoto a tutte le avance neo fondamentaliste e ?cristaniste?.


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