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Gilet gialli, le ragioni della collera
Che cosa lega, pur nelle differenze, i movimenti di protesta che si stanno diffondendo in Europa? Quali gli errori di Macron nella vicenda delle rivolte francesi? Pubblichiamo un'anticipazione da una accurata analisi tratta dal quaderno 4046 de "La Civiltà Cattolica"
Iniziato il 17 novembre 2018, il cosiddetto movimento dei «gilet gialli» ha acquistato un’ampiezza considerevole in Francia, riuscendo a suscitare imitatori all’estero.
Affinità e divergenze fra populismo
In effetti, al di là dell’aspetto puramente congiunturale, esso rivela un malessere più profondo, che va ben oltre il caso specifico. È quanto osserva la Conferenza episcopale francese nella sua breve dichiarazione dell’11 dicembre scorso: la crisi «rivela un malessere molto profondo e molto antico, che genera una grave sfiducia nei confronti dei responsabili politici».
Sebbene si debba riconoscere sempre che ciascun Paese ha le sue peculiarità e la sua storia, i sentimenti di inquietudine e di angoscia dei ceti popolari, in Europa come in America del Nord, sono una costante di questi ultimi anni. Essi sono alla radice di quello che viene comunemente chiamato «populismo», con tutta l’ambiguità che tale termine peggiorativo comporta.
Non è dunque inutile fare dei paragoni tra l’elettorato della Brexit nel Regno Unito, l’elettorato della Lega e del Movimento 5 Stelle in Italia, quello dell’AfD in Germania e, soprattutto, quello che ha portato al potere il presidente Trump negli Stati Uniti. È evidente che le ragioni di questa rabbia sono molteplici e hanno origini profonde.
Gli errori di Macron
Dopo la sua elezione, il presidente Macron ha sostenuto una visione europea forte, in controcorrente rispetto ai venti allora dominanti in Europa. Sperava anche di impegnarsi molto nella transizione ecologica e nella realizzazione della COP21 di Parigi15. Senza dubbio egli ha sottovalutato la fragilità della sua posizione: con solo il 24% dei voti al primo turno, è debitore della sua elezione più al rifiuto del suo avversario da parte dell’elettorato che a un’adesione al suo programma (ritrovandosi così in una situazione analoga a quella del suo predecessore, François Hollande).
Inoltre, la revisione costituzionale del 2002, che istituiva il quinquennato e il cui effetto concreto è stato che le elezioni legislative seguano quelle presidenziali, ha cambiato lo statuto del Primo ministro, il quale è percepito ormai come una specie di super-segretario generale, ma non può più essere considerato come un «fusibile» politico, che salta quando qualcosa va storto o quando ciò convenga alla strategia del Presidente. […]
Ciò non deve sorprendere, perché da diversi anni l’Europa viene percepita come una forza eccessiva di regolazione e burocrazia, e i suoi vantaggi concreti, in particolare sul piano commerciale (semplificazione degli scambi) e finanziario (tassi di interesse bassi per Paesi come la Francia e l’Italia), non vengono invocati né dai media né dai politici.
Tuttavia, gli sviluppi della Brexit nel Regno Unito potranno svolgere un ruolo in questa campagna elettorale (soprattutto in caso di Hard Brexit). Al di là quindi di ciò che può sembrare un moto di rabbia delle popolazioni francesi che abitano al di fuori delle grandi metropoli, il movimento dei «gilet gialli» manifesta i mali profondi di numerose società occidentali. La crisi multiforme che esso rivela ha radici antiche, che riguardano sia la filosofia sociale e l’economia, sia il collasso delle tradizioni cristiane e socialiste che si trovavano alla base della dicotomia politica tra destra e sinistra.
La rottura tra classe e popolo
È una crisi che esprime lo sfaldamento sociale e la rottura tra la classe dirigente e il popolo. O si riuscirà a ritrovare il senso della condivisione e della collettività, o si inaspriranno i conflitti sociali e internazionali. Allora diventerà chiaro che gli anni del dopoguerra sono stati certamente una parentesi felice, ma eccezionale. I provvedimenti puramente finanziari a breve termine (annunciati dal Presidente il 10 dicembre 2018) possono costituire solo la minima parte di una risposta che deve essere globale.
Del resto, essi non hanno fermato il movimento, che continua dopo le feste di fine anno. Gli uomini politici devono prendere in considerazione l’aspirazione a una maggiore protezione e a una maggiore solidarietà concreta all’interno della nazione.
Le élites tornino a studiare
Le élites liberali devono tornare sui banchi di scuola. Come fa notare Christophe Guilluy, «ciò richiede che si abbandoni una posizione di altezzosità e di indolenza intellettuale, e che si vada incontro a quanti sono lontani dalle sfere del potere e di influenza». Nella stessa linea, Nathalie SarthouLajus afferma: «Papa Francesco dice cose importanti quando invita ad andare nelle periferie. Ciò vale per la Chiesa, ma anche per i responsabili politici: è un invito a lasciare il centro del potere. E questo suppone una piccola rivoluzione culturale, e persino spirituale, nelle nostre élites».
Testo tratto dal Quaderno 4046 de La Civiltà Cattolica
QUI IL LINK All'articolo sul sito de La Civiltà Cattolica
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