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Aree interne

Giovani, quell’energia positiva che risveglia la montagna

C'è chi sceglie di vivere e lavorare in zone montane e a rischio spopolamento, come Benedetta Morucci e Francesco Trovò, due under 40 che hanno partecipato ai progetti RestartApp e RestartAlp di Fondazione Garrone. Si tratta di storie che dimostrano che un'alternativa alla vita nei grandi centri urbani c'è ed è praticabile

di Veronica Rossi

È possibile, per i giovani, vivere e costruirsi un futuro in un’area interna, lontano dalle opportunità – ma anche dal caos, dallo smog e dal cemento – delle grandi città? Pare proprio di si e lo dimostrano le esperienze di tante persone, che hanno fatto la scelta consapevole di trasferirsi in montagna o in altre zone a rischio di spopolamento. Lo testimoniano, per esempio, le storie di Benedetta Morucci e Francesco Trovò, la prima residente in una frazione di Anversa degli Abruzzi, in provincia dell’Aquila, dove ha avviato l’azienda Lamantera, che si occupa di dare nuova vita alla lana, il secondo a Sala Biellese, nella zona di Biella dove ha un’attività turistica chiamata Future is nature. I due hanno partecipato rispettivamente a RestartApp e a RestartAlp, progetti della Fondazione Edoardo Garrone che fungono da incubatori di imprese per persone under 40 che vogliono costruire la propria vita nelle zone montuose italiane.

«Io lavoravo nell’industria della moda, in particolare nel design e nel project management nel settore delle calzature», racconta Morucci, «ma a un certo punto,dopo una decina d’anni, mi sono resa conto che non stavo più bene dal punto di vista umano. Un giorno un mio datore di lavoro, durante una riunione che si era protratta più del dovuto, mi ha chiesto “Ma tu ci credi in questo lavoro?” e io mi sono domandata in cosa dovessi credere. La goccia però che ha fatto traboccare il vaso è stata l’inizio della questione del greenwashing. Io cercavo di portare la sostenibilità in azienda dal 2014, ma questa dinamica l’interesse era far credere di aver fatto qualcosa in questo senso, non farlo davvero. Stavo diventando una persona che non volevo essere: ero sempre arrabbiata; non volevo stare a questo gioco della società, che è completamente sbagliato».

Benedetta Morucci, foto di Stefano Schirato

Così la donna ha deciso: avrebbe cambiato vita. Anche se è veneta, Morucci ha un amore per Anversa degli Abruzzi, paese che ha conosciuto grazie a una persona speciale, Viola Marcelli, figlia di Manuela Cozzi e di Nunzio Marcelli, fondatore di Asca, cooperativa nata per valorizzare la pastorizia abruzzese, che ha aperto con la compagna anche un agriturismo chiamato La Porta dei Parchi. «Ci eravamo incontrate quando ero all’università, avevo fatto l’esame di ammissione alla magistrale in design e non sapevo dove andare a stare. Lei, senza conoscermi, mi si è avvicinata e mi ha offerto di andare a casa sua», racconta la donna. «Nel 2020, lei era tornata in Italia dopo delle esperienze all’estero. Così l’ho chiamata e le ho detto che mi doveva salvare la vita ancora una volta».

Ed è andando a stare ad Anversa degli Abruzzi, e la frequentazione di La Porta dei Parchi, che è nata l’idea di Lamantera. Perché quello della lana è un problema reale: le pecore vanno tosate, per la loro salute, ma il loro manto – almeno quello degli ovini degli allevamenti italiani – non viene solitamente utilizzato per realizzare capi di abbigliamento. Di solito diventa un rifiuto speciale, che va smaltito a 3 euro e 50 al chilo. Un costo insostenibile, se pensiamo che, per esempio, l’allevamento dei Marcelli produce 20 quintali a ogni tosatura. L’azienda, quindi, applica i principi dell’economia solidale alla filiera del tessile, riutilizzando la lana che altrimenti andrebbe buttata e che spesso si accumula nelle stalle dei pastori. «L’idea era quella di riportare la lana italiana a essere un prodotto che possa venire utilizzato dall’industria», dice Morucci, «mi sono detta: “Sono anni che faccio progettazione, vediamo se riesco a ricostruire questa filiera”».

Il fatto che ci sia bisogno di smaltire il vello delle pecore, non significa che Lamantera lavori indistintamente con tutti gli allevatori. «Io richiedo che gli animali siano fatti vivere in maniera rispettosa e che ci siano degli standard», racconta la giovane. «Mi è capitato di dire di no ad alcune persone, non per incapacità di assorbire il volume di lana, ma perché magari arrivavo all’allevamento e trovavo 800 capi in una baracca fatiscente, che per me ne poteva ospitare solo 400 o 500. Al momento io ho tutto biologico certificato, ma non lo richiedo. A me interessa vedere, vado in tutti gli allevamenti, conosco i pastori e le pecore. Per avere una certificazione basta pagare, se vuoi far le cose male ci riesci lo stesso. Preferisco chi magari non si può permettere questo costo ma tiene perfettamente i suoi animali».

Benedetta Morucci, foto di Stefano Schirato

Ma qual è, in fondo, la motivazione che ha portato Morucci a questo cambio di vita? «Ho scelto un posto in cui potevo provare a vivere in modo diverso, in senso pratico ma anche ideale», dice. «Se ci redistribuissimo un po’ di più eviteremmo di avere tanta pressione in luoghi specifici e gioveremmo a quelle realtà che rischiano di impoverirsi e sparire. Ci sono tanti piani che si intrecciano, da quello ecologico, a quello politico a quello personale. C’è una frase di Alexander Langer che è “Cosa faresti diversamente?”. Ecco, io sono qui per fare diversamente».

Se Morucci è andata a vivere dalla città a un’area interna di cui si è innamorata, quello di Francesco Trovò è un ritorno all’ambiente rurale. «Sono nato in un paese di 2mila abitanti», racconta. «Avevo una passione per gli animali e la natura, ho fatto l’istituto agrario e ho lavorato poi per tre anni nella rivendita agricola. Nel frattempo, però, ho seguito anche una carriera da ballerino, che mi ha portato a trasferirmi negli Stati Uniti per due anni circa, per studiare e approfondire la danza. Nella grande città ho dovuto confrontarmi con me stessi, mi sono scoperto». Dopo l’esperienza all’estero, Trovò ha voluto tornare a studiare: si è laureato in ingegneria al Politecnico di Torino per poi svolgere questa professione nel capoluogo piemontese. Sempre col desiderio, però, di tornare sul territorio. «Dopo tre anni avevo messo giù un progetto per l’azienda Future is nature, che ora gestisco», spiega. «Per combinazione, proprio in quel periodo è uscito il bando per RestartAlp, sono stato selezionato e nel 2018 ho partecipato al campus».

Tenda in bolla, opzione di pernottamento a Future is nature

L’azienda vende pacchetti ludici per adulti, comprendenti gioco, pernottamento e ristorazione. Accanto alle opzioni più classiche per passare la notte, ci sono anche forme di pernottamento alternativo, come tende a bolla e tende sospese. La scelta di giochi è ampia, da quelli più mentali a quelli più fisici: c’è un escape wood, che ha lo stesso funzionamento delle escape room – stanze da cui bisogna uscire cercando degli indizi – ma avviene nel bosco, attività di tagging a squadre, sul modello del classico “rubabandiera”, palla prigioniera, nascondino notturno e molto altro.

Un momento di gioco a Future is nature

Passo l’estate a Sala Biellese, poi sverno a Torino, dove ho la ragazza», dice Trovò. «Per me che vengo da un paese, però, l’essere legato a un ambiente naturale rende tutto un più vero: per quanto abbia imparato ad amare la città, non è il mio assetto e mi sentivo sempre un po’ come se i giorni passassero senza vivere mai sul serio. Per chi è nato e cresciuto in un contesto urbano lo spostamento fa un po’ più paura. In effetti, le difficoltà non mancano, a partire dagli spostamenti: non ci sono linee di trasporto pubblico e anche per andare nel paese vicino bisogna farsi chilometri in macchina. In generale, sono un po’ penalizzati gli aspetti di praticità della vita».

Questa è la prima puntata di una serie dedicata alle aree interne, che continuerà nei prossimi giorni

Foto in apertura di Stefano Schirato


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