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Giustizia minorile, una fuoriserie senza benzina

Christian Serpelloni e Ilaria Summa sono i responsabili del settore penale dell’Unione nazionale camere minorili. Con la vicenda del Beccaria sullo sfondo, con loro continua il viaggio di VITA nella giustizia minorile italiana, vero fiore all'occhiello del nostro Paese, che vive tante criticità ma che va difeso.

di Ilaria Dioguardi

Continua ad essere alta la tensione nell’Istituto penitenziario minorile-Ipm “Cesare Beccaria” di Milano, al centro di un’indagine della procura su presunte torture e aggressioni ad alcuni giovani detenuti che ha portato in cella e alla sospensione dal servizio, in totale, 21 agenti. Entro la prossima settimana qui arriveranno 47 nuovi agenti di polizia penitenziaria. Intanto, nella notte fra domenica e lunedì, alcuni giovani detenuti hanno appiccato un incendio, domato in tre ore, in una cella. Fortunatamente non ci sono stati feriti. Cosa sta succedendo al Beccaria? Ma soprattutto, qual è lo stato di salute della giustizia minorile italiana? Lo abbiamo chiesto agli avvocati Christian Serpelloni e Ilaria Summa, responsabili del settore penale dell’Unione nazionale camere minorili.

Serpelloni, un commento su quello che sta succedendo al Beccaria?

Il Beccaria ha una storia particolare. Negli ultimi anni è mancata una stabilità nella direzione, si sono susseguiti vari direttori, alcuni rivestivano in contemporanea una carica nell’Ipm e in un istituto penale per adulti. Il Beccaria per molti anni ha avuto anche un vero e proprio “cantiere aperto” all’interno del carcere. Queste situazioni non hanno certo agevolato la vita dei detenuti e degli operatori.

Ovvero?

Non voglio essere frainteso. Lungi da me trovare giustificazioni per quello che è successo e che è in corso di accertamento, ma sicuramente vivere in quelle condizioni non deve essere stato facile per nessuno. Le indagini sono in corso, per quanto riguarda i fatti di maltrattamenti e violenze da parte degli agenti (VITA ne ha parlato QUI, QUI, e ancora QUI, ndr) sappiamo che alcuni indagati hanno deciso di non avvalersi della facoltà di non rispondere. I fatti sono gravi, non si vorrebbero mai vedere in nessun istituto detentivo, men che meno in un Ipm. Per quanto riguarda ciò che è successo, il Beccaria non è nuovo, purtroppo, a questi fatti.

Il nostro diritto penale minorile è una fuoriserie… con poca benzina. Anziché aggiungere benzina, qualcuno ritiene di dover cambiare la macchina. Questo ci lascia perplessi

Christian Serpelloni, corresponsabile del settore penale Uncm

Qual è il rischio più grande?

Il rischio è che vi sia una delegittimazione delle istituzioni. Non è mai facile la vita all’interno di un istituto detentivo, a maggior ragione con quello che è in corso di accertamento. Questo è un grosso problema. Alcuni ragazzi dicono, in modo talvolta spavaldo e strumentale: “Noi lo sapevamo”. Il minorenne che delinque è un soggetto molto complesso, che si trova a vivere un profondo disagio e lo manifesta spesso in modo particolarmente grave. La carcerazione nell’ambito minorile è e deve restare la soluzione estrema, quella alla quale si ricorre quando tutte le altre strade sono state percorse invano. Va detto, però, che nella nostra esperienza, il lavoro fatto su alcuni ragazzi detenuti, grazie alle possibilità che offre il diritto minorile, è stato particolarmente efficace: tanto che alcuni sono riusciti, una volta usciti, ad emanciparsi dalla realtà nella quale avevano vissuto prima di entrare in istituto. Ma occorrono molte risorse, molta collaborazione da parte delle istituzioni per poter offrire un domani realmente migliore. Il nostro diritto penale minorile lo paragono sempre ad una fuoriserie… con poca benzina.

E quindi?

Anziché aggiungere benzina, qualcuno ritiene di dover cambiare la macchina. Questo ci lascia perplessi. Alcuni pensano che il diritto penale minorile italiano non sia più adeguato ai tempi. In realtà molte norme e molti istituti non sono stati applicati o vengono applicati solo in parte per la cronica carenza di risorse.  Spesso nei tribunali per i minorenni manca personale amministrativo, i magistrati sono particolarmente oberati, dovendosi occupare contemporaneamente di fascicoli civili e penali; gli uffici dei servizi sociali sono in affanno e in carenza di personale e risorse. I progetti di messa alla prova, talvolta per mancanza di risorse, sono standardizzati e non personalizzati. Questo non va bene. La macchina, insomma, ha poco carburante. Nel diritto penale minorile servirebbe un intervento strutturale, non congiunturale e una reale visione di sistema.

Con la legge 159 del 2023, l’attenzione è concentrata principalmente sul fatto e non tanto sulla persona, come accade per gli adulti, ma i minorenni… adulti non sono

Christian Serpelloni

Le presenze medie sono aumentate negli istituti penali minorili. A gennaio 2024 si sono superate le 500 presenze.

Questo è un argomento molto complesso. Dobbiamo chiederci se il carcere sia il luogo idoneo per intervenire in determinate situazioni di criminalità e di disagio minorile. Qui si apre una finestra di riflessione rilevante. Con il decreto Caivano e con la successiva legge di conversione si è operato un intervento particolarmente energico in ambito penale minorile, dal tenore fortemente retributivo. Voglio dire che sono state introdotte norme che danno maggiore attenzione al fatto e meno alla soggettività di chi lo ha commesso.  Il decreto Caivano opera infatti su molti fronti.

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Ce ne dica qualcuno.

Si è aperto il fronte delle misure di prevenzione anche in ambito minorile. Ad esempio, ai maggiori di anni 14 è possibile l’applicazione del dacur (divieto di accesso alle aree urbane, anche detto “daspo urbano”, ndr), nonché dell’avviso orale. Si è intervenuti in modo restrittivo sulle misure precautelari e cautelari. Inoltre, è stato escluso in modo automatico l’accesso alla messa alla prova, qualora il minore sia accusato di reati particolarmente gravi quali violenza sessuale di gruppo, rapina aggravata o omicidio. Nel diritto penale minorile la messa alla prova poteva essere richiesta per qualsiasi tipo di reato e, dati alla mano, l’istituto, correttamente applicato, ha funzionato bene anche per i reati più gravi. Ora, con la legge 159 del 2023, l’attenzione è concentrata principalmente sul fatto e non tanto sulla persona, come accade per gli adulti, ma i minorenni… adulti non sono.

Si spieghi meglio.

Si va a guardare molto di più al fatto commesso e molto meno al soggetto che lo ha commesso. Questo, unitamente alla carenza di risorse per applicare correttamente le misure di diversion come la messa alla prova, ha comportato un aumento di presenze negli Ipm, che erano di 350-380 minori fino alla fine dell’anno scorso. Ora abbiamo superato le 500 persone. Questo non è certo determinato solo dalle modifiche normative, ma sicuramente non hanno aiutato a ridurre la popolazione carceraria. È pur vero che il fenomeno della devianza minorile è in crescita. Molti agiti devianti sfociano nel penale. Abbiamo una recrudescenza negli ultimi anni, soprattutto nel post Covid. Ci sono poi realtà territoriali con problemi specifici, questo non va dimenticato. Del resto il nome dato dal decreto, salvo essere particolarmente stigmatizzante, ne è l’esempio.

Ilaria Summa, quali sono i motivi della recrudescenza delle devianze minorili?

I motivi sono molti e il discorso si farebbe lungo. Molto banalmente posso dirle che vi è una siderale assenza di centri di aggregazione che possano fornire modelli positivi. I ragazzi che vivono nei quartieri delle grandi città sono spesso lasciati a loro stessi, si aggregano e tendono a seguire il soggetto che ha maggiore personalità.

Lei si occupa da circa vent’anni di diritto penale minorile. Cosa può dirci, dei cambiamenti (o dei non cambiamenti) che ci sono stati in Italia?

La devianza minorile, pur avendo tratti comuni ha spesso caratteristiche legate al territorio. Tempo fa il vice direttore del carcere di Nisida (Napoli), ci ha raccontato che, mentre un tempo la criminalità minorile era legata soprattutto a reati contro il patrimonio e in parte contro la persona, a furti e qualche rapina, da qualche anno a questa parte gli adolescenti hanno fatto un “salto”: vogliono diventare dei piccoli boss. Quindi attuano strategie che vedono praticare dagli adulti. Anche al Nord, nelle città di piccole e medie dimensioni, si notano cambiamenti. Ad esempio, gli adulti utilizzano molto di più di un tempo i minori per lo spaccio di sostanze, sono aumentate le rapine a mano armata commesse da minori, è aumentato il fenomeno delle aggregazioni devianti, che alcuni impropriamente chiamano “baby gang”.

Vi è una siderale assenza di centri di aggregazione che possano fornire ai ragazzi esperienze e modelli positivi

Ilaria Summa, corresponsabile del settore penale Uncm

Perché è sbagliato parlare di “baby gang”?

In primo luogo perché il termine fa riferimento ad altri tipi di aggregazione, nati in paesi extra europei. Nella nostra esperienza notiamo che si stanno sviluppando – come dicevo prima anche per l’assenza di alternative – aggregazioni di ragazzi e ragazze privi di punti di riferimento, che pongono in essere condotte devianti spesso per cercare di affermarsi nella società. Si tratta di adolescenti spesso privi di punti di riferimento, talvolta provenienti da famiglie magari benestanti, ma di fatto disfunzionali e abbandoniche. Se questo disagio non viene intercettato in fretta questi ragazzi e queste ragazze rischiano di perdersi e radicalizzarsi in ambienti molto pericolosi.

Quindi, un altro grande problema è l’intervento.

Sì, deve essere tempestivo ed efficace. Il tempo per un minorenne è un fattore assolutamente essenziale se lo si vuole aiutare veramente.

Foto di Carolina su Unsplash


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