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Cooperazione

Guerra, politica e bisogni che aumentano stanno cambiando il lavoro umanitario

La gestione degli aiuti umanitari è diventata più complessa: gli operatori devono affrontare questioni di sicurezza sempre più difficili, l’accesso umanitario nei Paesi colpiti dalle crisi è sempre più ridotto, richiede negoziati con i gruppi armati e registra impedimenti politici, amministrativi e burocratici, e poi c’è la tendenze alla diminuzione dei finanziamenti a fronte, invece, di un incredibile aumento dei bisogni umanitari. Questo il tema al centro della seconda edizione del Congresso Umanitario "Between a Rock and a Hard Place"organizzato da Intersos


Oggi a Roma il Congresso Umanitario promosso da Intersos. Il titolo scelto per la seconda edizione del meeting è “Between a Rock and a Hard Place”, “tra l’incudine e il martello”, a indicare come la gestione degli aiuti umanitari sia diventata, in questi anni, sempre più complessa e i principi che la guidano messi in discussione e costretti tra diverse pressioni.

La guerra in Ucraina, quella tra Israele e Hamas, la situazione in Afghanistan ci fanno riflettere sulla convivenza tra un’agenda guidata dalle priorità della geopolitica e un’agenda umanitaria. Come si tengono insieme le due cose? Un fatto è certo: negli ultimi decenni la gestione degli aiuti umanitari è diventata sempre più complessa per diverse ragioni: le operatrici e gli operatori umanitari si trovano ad affrontare questioni di sicurezza sempre più difficili, l’accesso umanitario nei Paesi colpiti dalle crisi è sempre più ridotto e richiede negoziati con molteplici gruppi armati, impedimenti politici, amministrativi e burocratici, e poi c’è la tendenze alla diminuzione dei finanziamenti a fronte, invece, di un incredibile aumento dei bisogni umanitari. 

Il panel che ha aperto il meeting, moderato da Sara Pantuliano – Chief Executive Odi, Overseas Development Institute, un think tank sugli affari globali con la missione di “ispirare le persone ad agire contro l’ingiustizia e la disuguaglianza attraverso la ricerca collaborativa e idee che contano per le persone e il pianeta”, si è posto questa domanda “Geopolitica e principi umanitari: cosa ci dicono Ucraina, Afghanistan e Gaza sullo stato dell’impresa umanitaria?”, domanda che ha dato il titolo all’incontro di apertura. 

«Lo abbiamo visto in Ucraina», spiega Vangelis Tsilis – Intersos Head of Mission in Ucraina, che ha partecipato a questo primo dibattito. «Per lavorare nei contesti così delicati è necessario avere personale altamente qualificato». E per fare davvero la differenza nei territori bisogna «andare lì», aggiunge Vangelis Tsilis, «e lavorare anche dall’altro lato». Ma cosa significa l’altro lato? «Se non lavoriamo con i militari non possiamo supportare la popolazione che ancora vive sulla linea del fronte, in quel pezzo di terra tra gli zero e i cinque chilometri, dove le ong non possono andare. Per arrivare a quella popolazione lì dobbiamo cercare un equilibrio». L’esempio di Vangelis Tsilis riporta alla questione centrale dell’accesso: «Se dobbiamo consegnare del cibo, quel cibo passa per i militari». In certe circostanze è molto concreto il rischio che l’aiuto umanitario venga criminalizzato e «questo rischio», spiega l’head of Mission in Ukraine di Intersos, «rende estremamente difficile fornire supporto alla popolazione che ne ha bisogno». 


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Chi fa cooperazione, di chi prova a rispondere ai bisogni umanitari «oggi ha un duplice mandato», spiega Delphine Pinault, coordinatrice delle politiche umanitarie e rappresentante delle Nazioni Unite. «Possiamo e dobbiamo cercare di mettere a disposizione la nostra expertise. In molti dei nostri dipartimenti umanitari svolgiamo sia attività per lo sviluppo che attività di advocacy relative ai diritti». E la cooperazione che verrà deve sempre di più guardare ai dati: «La risposta umanitaria fondata sui dati a nostra disposizione è fondamentale», dice Larissa Fast, professoressa dell’istituto per la risposta umanitaria e ai conflitti dell’Università di Manchester. «Ma i dati sono vasti e vari: il numero di persone che vengono aiutate, gli aiuti necessari per rispondere ai bisogni, la stima dei bisogni». E ancora bisogna guardare all’aspetto qualitativo dei dati: «Quante sono le persone malate, quali sono le malattie. Sia l’aspetto qualitativo e quantitativo sono importanti perché ci danno un’idea sulle persone da aiutare ed anche a comprendere il sistema in cui stiamo andando ad aiutare».

Le attenzioni, i progetti, le azioni umanitarie stanno cambiando. Ma quale sarà il futuro dell’umanitario? Antonio Donini, co-founder United Against Inhumanity e membro del board di Intersos, non fa una previsione precisa: «Le previsioni ora sono difficili», spiega. «Ci troviamo in un momento storico in cui le crisi si stanno aggravando e non vediamo una via d’uscita». Dalla fine della seconda guerra mondiale abbiamo vissuto un periodo lungo di relativa stabilità: «abbiamo anche vissuto una sorta di oligopolio in cui i donatori occidentali, Nazioni Unite, Croce Rossa internazionale, organizzazioni non governative, hanno gestito fondi e aiuti in questa relativa stabilità. Ora, invece, abbiamo bisogno di considerare più punti di vista.Le azioni umanitarie dell’Occidente hanno radici nei valori cristiani, dell’illuminismo e anche nella storia del colonialismo. Le azioni umanitarie si sono sviluppate in parallelo al potere occidentale». Ma ora sono anche altri gli Stati del mondo che acquisiscono potere e quindi: «stiamo andando verso un contesto geopolitico multipolare, e anche l’intervento umanitario cambierà. La Croce Rossa, l’ Onu, le ong continueranno ad esistere? Oggi la spesa umanitaria ha raggiunto i 50 miliardi di dollari all’anno, impensabile fino a 30 anni fa. Non pensavamo che sarebbe diventata così enorme e utilizzata per esercitare il soft power in occidente. Ora siamo in un momento dove anche i nostri principi sono messi in discussione dal doppio standard che applichiamo. Non guardiamo ai massacri di Gaza come a quelli in Ucraina. E questa frattura diventa sempre più profonda. Quindi: il sistema dell’umanitario come lo conosciamo oggi può resistere in futuro? Ho i miei dubbi». 


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