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Haiti è diventata il laboratorio di neo-colonialismo

Le affinità con l'Africa, nell'analisi di Giulio Albanese

di Padre Giulio Albanese

La povertà cronica ha reso l’isola ancora più vulnerabile, prima agli uragani, ora al sisma. Eppure, in passato, tutti gli appelli dell’Onu e
delle ong per raccogliere fondi sono caduti nel vuoto Non abbiamo parole per descrivere la sofferenza della popolazione haitiana provata duramente da un devastante sisma senza precedenti. Lungi da ogni retorica, forse solo il silenzio può esprimere il nostro cordoglio di fronte ad una moltitudine di uomini e di donne che hanno trovato la morte in un’isola peraltro già martoriata da una storia ingrata.
Schiavitù, inedia, pandemie hanno reso nei secoli questa periferia del mondo, a metà strada fra Cuba e Puerto Rico, un autentico inferno dove Lucifero è sempre stato in agguato. Parte occidentale dell’isola Hispaniola su cui sbarcò Cristoforo Colombo nel 1492, inizialmente possedimento spagnolo e poi, nel XVII secolo, colonia francese, Haiti divenne il primo Stato caraibico indipendente governato da popolazioni afro nel 1804.

Terra di conquista
Sta di fatto che fin dalle sue origini questo Paese si distinse per i suoi contrasti e paradossi, con un’economia basata essenzialmente sulle grandi coltivazioni, sprovvista di un’industria di trasformazione agro-alimentare capace di generare una significativa redditività, essendo costretta a subire i condizionamenti del mercato internazionale che già stabiliva in modo ondivago i prezzi in base agli interessi dei compratori stranieri. Sta di fatto che per tutto l’Ottoento, proprio quando in Europa, come anche nel Nord America, si affermava gradualmente la rivoluzione industriale, Haiti continuò ad essere una terra di conquista, essendo politicamente marginalizzata e soprattutto incapace di generare al proprio interno uno sviluppo sociale e culturale in grado di tutelarne la dignità statuale.
A questo proposito non pare eccessiva l’analogia tra le vicende haitiane e quanto accaduto nel grande continente africano con il ritorno degli ex schiavi statunitensi e la fondazione dello Stato liberiano. Addirittura vi sono alcuni studiosi che considerano Haiti come l’esempio emblematico, per così dire “ante litteram”, di quel famigerato “neo colonialismo” che nel Novecento, a partire dagli anni 60, ha condizionato fortemente il destino di gran parte dell’Africa, con conseguenze che ancora oggi permangono tragiche e irrisolte.
A ciò si aggiunga la stagnazione di quella consapevolezza nazionale per cui all’affrancamento dalla schiavitù non è seguito l’avvio, sia pur faticoso, di uno sviluppo culturale per cui persistono ancora oggi pratiche ancestrali voodoo di matrice africana, unitamente ad altre forme sincretistiche che acuiscono l’emarginazione.
Ad Haiti prima del sisma, è bene rammentarlo, vivevano 10 milioni di persone, delle quali circa l’80% al di sotto della soglia di povertà per colpa d’ingiustizie e sopraffazioni d’ogni genere acuite da un mosaico politico fortemente condizionato dalle oligarchie. D’altronde, decenni di aggiustamenti strutturali hanno impedito ai governi locali di gestire la “res publica”, impedendo ogni forma di emancipazione, di promozione dell’economia, soprattutto di partecipazione degli haitiani alla realizzazione di un futuro migliore. Intanto, mentre ora scriviamo, lo strazio è elevato all’ennesima potenza, non foss’altro perché almeno un terzo degli abitanti di questo Paese risulta essere stato coinvolto in qualche modo nella catastrofe del sisma.

Lacrime di coccodrillo
A pensarci bene era tutto scontato. Infatti la miseria cronica da quelle parti non avrebbe mai consentito difesa alcuna, né prevenzione di sorta dalle catastrofi naturali. Perché se è vero che i terremoti non si possono prevedere con precisione – né il luogo, né tanto meno l’ora – è certo che la scienza moderna è oggi in grado, attraverso le moderne tecnologie, d’individuare con certezza quali siano le zone ad elevato rischio sismico ed è dunque possibile, se si dispone delle risorse economiche adeguate, attrezzare tali territori, come per esempio nel caso del Giappone, di strutture e costruzioni antisismiche, capaci di resistere alle scosse telluriche. Haiti da questo punto di vista era e rimane sprovvista di tutto.
Anche di fronte agli uragani che ogni anno provocano morte e distruzione la situazione è praticamente la stessa. Nel 2008 se ne sono abbattuti quattro (Fay, Gustav, Hanna e Ike) in un mese, in quella che era stata finora la principale catastrofe degli ultimi anni. Da rilevare che dal 2004 è presente nel Paese la missione Onu (Minustah) il cui compito è essenzialmente di pacificazione. Ma, ogni volta che i funzionari civili dell’Onu e delle organizzazioni non governative hanno chiesto alla comunità internazionale di stanziare fondi per progetti di riduzione della povertà, i Paesi donatori hanno sempre declinato l’invito. È per questo che le nostre rischiano d’essere lacrime di coccodrillo. Le stesse che abbiamo già versato in altre circostanze sulle disgrazie africane.


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