Welfare

I banchi alimentari,beconomia da Nobel

L'economista Luigi Campiglio lancia un'idea...

di Redazione

Rimettono in circolo le eccedenze, riducono gli sprechi, ridanno senso e dignità al lavoro. Contro il feticcio degli sprechi. Altro che beneficenza, le collette rappresentano un’innovazione tutta da premiare N on c’è solo la componente solidaristica. C’è la lotta allo spreco. La nuova valorizzazione del lavoro, che ritrova significato e dignità. L’impegno per la creazione di circuiti alternativi. È denso il dna del Banco Alimentare, per il cui sistema Luigi Campiglio , professore di Politica economica alla Cattolica di Milano, lancia una proposta: diamogli il Nobel. «Perché no? Se questo è un premio per l’innovazione, non vi sono dubbi che questa sia una grande novità sociale. Riguarda milioni di persone. Solo in Italia un milione e mezzo di assistiti. Più di così? Non solo: funziona ed è stabile nel tempo. Davvero non riesco a vedere obiezioni».
Vita: Viviamo in una fase molto critica, anche per i prezzi degli alimenti.
Luigi Campiglio: Per questo servono istituzioni nuove, capaci di annullare o almeno contenere la volatilità che han raggiunto i mercati agricoli. Che in questa fase hanno assunto le stesse caratteristiche di quelli delle attività finanziarie. Con rialzi e ribassi, speculazioni, talvolta manipolazioni. È già un problema sui mercati finanziari. Ma quando tocca gli alimentari ha un impatto particolarmente grave. Quello alimentare è un mercato che dovrebbe avere un certo grado di stabilità. Anzitutto per consentire di impostare una produzione agricola equilibrata e non soggetta a violente oscillazioni. Nella primavera di quest’anno, abbiamo visto una fluttuazione violentissima: nella fase ascendente qualcuno guadagnava ma molti perdevano. Adesso nel crollo la situazione non migliora. È come se si maneggiasse della dinamite quando si parla di finanziarizzare anche il mercato alimentare.
Vita: Ogni punto percentuale in più in Borsa escludeva milioni di persone nel mondo?
Campiglio: Per questo dico che dovremmo premiare quelle realtà che lavorano sui circuiti alternativi. Come è avvenuto per Yunus a proposito del microcredito. Ha avuto il Nobel per la pace. Io glielo avrei dato per l’economia.
Vita: E ci furono polemiche per questo.
Campiglio: Lo dico dal punto di vista della motivazione originaria del Nobel. Va dato a chi contribuisce a migliorare il tenore di vita dell’umanità. Premiare quelle idee senza le quali staremmo un pochino tutti quanti peggio. Accanto al microcredito, che ha consentito a una frazione dell’umanità di stare un po’ meglio, colloco il commercio equo e solidale, che è il tentativo di stabilizzare i mercati e portare un elemento di continuità e stabilità in una volatilità diventata così drammaticamente elevata, e i banchi alimentari nel mondo e in Italia in particolare. Questi ultimi rappresentano un’esperienza straordinariamente diffusa e di grande efficacia, sia nel risultato in sé sia nel razionalizzare un cammino di marcia dell’economia più equilibrato e attento alle eccedenze, quando non agli sprechi. In Europa si è vista una crescita dei banchi che ricollocano sul mercato non solo le eccedenze agricole comunitarie, ma anche quelle delle imprese alimentari. L’impatto della crisi economica è stato così repentino che con molta probabilità in giro per il mondo gli stock delle industrie agroalimentari sono aumentati.
Vita: Quindi?
Campiglio: Ci troviamo di fronte a una enorme contraddizione. Da un lato le mense per le persone in difficoltà si riempiono; dall’altro si registra un aumento eccessivo degli stock. Il Banco Alimentare è, da questo punto di vista, una iniziativa straordinariamente innovativa che va valorizzata e conosciuta.
Vita: Ridurre lo spreco vuol dire anche valorizzare il lavoro.
Campiglio: Lo spreco è la cifra di comportamento più diffusa. Non abbiamo dati per l’Italia ma c’è una ricerca fatta in Gran Bretagna secondo cui un terzo dei prodotti va sprecato mentre un quarto di questo terzo potrebbe essere riutilizzato. Restituire dignità al lavoro e non semplicemente al feticcio delle merci, mi passi l’espressione, è un passaggio centrale per immaginare sentieri diversi di comportamento.

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