Non profit
I No Tav? Meglio dire Sì alla cultura
La mobilitazione della Val Susa per difendere i suoi tesori
di Redazione
Che gli abitanti della Val di Susa siano legati al loro territorio, è cosa risaputa. Le manifestazioni dei No Tav a difesa della valle sono finiti su tutte le prime pagine dei giornali. Quello che invece poco si sa è che, oltre ai cortei contro il nuovo traforo per i treni, quello già esistente dell’autostrada e quello che verrà creato per una corsia di servizio, i valsusini da otto anni hanno trovato un’altra strada per valorizzare e difendere i loro paesaggi e i loro castelli. Il progetto si chiama “Valle di Susa. Tesori, arte e cultura alpina”, che altro non è che un coordinamento tra i 37 Comuni della zona e le associazioni locali per valorizzare in maniera condivisa le bellezze artistiche e paesaggistiche della Valle.
Per quanto il nome possa far pensare a roba tecnica e noiosa, è un’iniziativa nata affinché le tante realtà non si disperdano pensando ciascuna al proprio orticello. L’organizzazione è snella, con un tavolo di coordinamento tra tutti gli attori in cui si decidono le strategie annuali, gruppi di lavoro tematici e una cabina di regia per il supporto operativo. Alla base di tutto c’è la partecipazione, sia dei soggetti economici e politici della valle sia dei tanti volontari che mettono l’anima per far sì che il loro territorio non scompaia sotto i colpi non tanto delle ruspe, quanto dell’ignoranza dei concittadini che non ne conoscono le ricchezze e la storia.
Quattro i campi d’impegno: fortificazioni, archeologia, arte sacra, cultura materiale. Dal 2000 ? quando con l’arrivo dei primi investimenti delle Olimpiadi invernali di Torino si iniziò a puntare sul recupero dei beni artistici ? fino ad oggi, il numero di questi volontari è passato da 158 a 430. Con loro sono aumentate anche le strutture recuperate e gestite: da 3 a 10 i siti archeologici, da 18 a 39 quelli religiosi, da 2 a 6 le fortezze. I numeri sono lusinghieri, ancora di più lo è il successo di pubblico. Il 18 settembre, per la seconda “Giornata del Patrimonio archeologico”, centinaia di persone hanno affollato i 13 siti aperti, alcuni solo per l’occasione. Le iscrizioni al percorso formativo sull’archeologia che ha preceduto l’evento hanno toccato quota 120. Non è poco, dato che prevedeva dieci incontri pratici e teorici, con tanto di esame finale.
Secondo Giuseppe Popolla, uno dei coordinatori del progetto, «anche se noi diciamo animatori», precisa che un percorso del genere va ben oltre i confini dell’approfondimento personale: «La comunità evita di conoscere il territorio attraverso stereotipi e “sentito dire”». Una strada per sviluppare un senso critico, «la capacità di narrare la propria storia senza che questo porti a chiudersi, ad avere paura del forestiero, che si tratti del cittadino di Torino o dell’africano». Come primo passo, ed è già tanto, ha riunito un territorio diviso: «Abbiamo Pro Tav, No Tav, destra, sinistra. Tutto». Ci sono anziani, professionisti, adolescenti. C’è anche lui, che è un sacerdote, nonostante eviti di precisarlo «perché in questo caso non importa».
I rapporti con le soprintendenze e l’università sono ottimi, «basta mantenere chiari i ruoli, alcuni compiti devono rimanere appannaggio dei professionisti, tra cui la ricerca e la progettualità culturale». Guai, poi, a volontari singoli, schegge impazzite: «Devono restare in un’associazione, che abbia uno statuto e obiettivi chiari». Però quello della Val di Susa è un volontariato propositivo e organizzato: dopo essere sbarcato su internet con sito e sistema intranet dove i soci si scambiano idee e discutono anche quando la neve frena le riunioni, sta pensando di importare dalla Francia il Qr Code, una specie di codice a barre che basta fotografare con lo smartphone per ricevere sul display le informazioni su ciascun sito turistico. Dal polo museale di Firenze, invece, vorrebbe copiare un manuale per la manutenzione del patrimonio culturale da dare ai volontari formati. «Dobbiamo responsabilizzare sempre di più i valsusini, perché possano trasmettere le loro bellezze alle generazioni future». Ma guardando avanti, non al passato.
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