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I nonni vanno a lezione: «Insegnateci tutto»
Le università popolari: 60mila associati e 69 sedi
di Redazione
Continuare a imparare a qualsiasi età e con qualsiasi disponibilità finanziaria: è lo scopo per cui sono nate le Università popolari e della terza età, fenomeno importante in un’Italia impoverita e con una popolazione sempre più anziana. Eppure, secondo gli addetti ai lavori, nonostante questi centri di formazione permanente riscuotano l’interesse dei cittadini, non sono sostenuti a sufficienza da governo ed enti pubblici. Dal Piemonte alla Sicilia si contano 69 sedi riunite nell’Unieda – Unione italiana di educazione degli adulti, che vantano in tutto almeno 60mila associati. Tra le realtà più grandi e organizzate ci sono Roma, Biella, Udine e Genova, le altre sono più piccole, o a volte piccolissime, e vanno avanti grazie all’entusiasmo e alla buona volontà dei volontari. Il panorama è dunque vario e frammentato. In comune hanno tutte, ovviamente, un’offerta variegata di corsi: i più gettonati sono quelli di lingue straniere (soprattutto inglese), computer e ginnastica, ma si trovano anche insegnamenti di altro genere, dal giornalismo al cinema, dalla storia dell’arte al teatro, fino ai corsi di alfabetizzazione per immigrati.
«Puntiamo sul life long learning, l’apprendimento permanente: il nostro è un centro di educazione per adulti di tipo anglosassone», interviene Pina Raso, presidente dell’Università delle LiberEtà del Friuli Venezia Giulia di Udine, considerata una delle eccellenze in questo campo con i suoi 600 corsi seguiti ogni anno da circa 4mila persone su una popolazione di 100mila abitanti. I corsi si svolgono tra ottobre e maggio-giugno, poi ci sono quelli estivi, mentre settembre è dedicato ai corsi internazionali, con docenti provenienti da varie parti d’Europa o insegnanti locali che fanno un’esperienza fuori Italia. Un classico corso di inglese può costare 80 euro l’anno per 25 lezioni, uno intensivo 100 euro in due mesi: in ogni caso, prezzi popolari. «Ho visto centri simili al nostro più a Tel Aviv che in Italia», prosegue la Raso, ex insegnante di liceo andata in pensione per occuparsi a tempo pieno dell’Università. «A Swansee, in Galles, dove tra l’altro si svolge il Festival annuale dell’educazione per adulti, questi istituti ottengono diversi milioni di euro dal Fondo sociale europeo e da altri enti locali. Qui a Udine le autorità mi fanno molti complimenti, ma poi i finanziamenti vanno principalmente a cinema e teatri». Il bilancio dell’Università della LiberEtà (per il 2012 sono previsti 80mila euro dal tesseramento, 335mila dalle iscrizioni ai corsi, 51mila tra contributi regionali, provinciali e di altro tipo, più 90mila euro da finanziamenti europei) è in pareggio grazie anche a un’oculata gestione del personale e dell’intera struttura. Sostanzialmente in pareggio è anche quello di UPBeduca – Università Popolare Biellese per l’Educazione Continua, l’altra più importante realtà del Nord Italia. «Siamo una delle più antiche del Paese», rivela il presidente Alberto Galazzo. Oltre ai circa 400 corsi attivati, UPBeduca è impegnata in organizzazione di conferenze, progetti didattici per le scuole e grandi eventi. «Con la crisi temevamo che le iscrizioni calassero», afferma Galazzo, «invece non è stato così». Per poter dare continuità agli insegnamenti sono stati creati un laboratorio musicale, uno teatrale e uno artistico, destinati a chi ha terminato le lezioni. «È una richiesta venuta direttamente dai soci: evita che le persone spariscano dopo il corso e favorisce l’opera di socializzazione, che è uno dei punti di forza delle Università popolari». UPBeduca conta in primis sull’autofinanziamento (376mila euro), mentre 55mila euro sono erogati da Regione Piemonte e altri enti.
È invece più problematica la situazione finanziaria di Upter, l’Università Popolare di Roma nata 25 anni fa e forse la più grande in termini numerici e organizzativi: nel periodo 2010-11 sono stati 27.257 i partecipanti ai 1.896 corsi distribuiti in decine di sedi disseminate nella capitale. Il presidente denuncia che l’Upter «ha accumulato crediti per un milione 286mila euro da vari enti, alcuni in ritardo con i pagamenti persino di cinque anni. È più o meno la stessa quota che ci servirebbe per sanare il buco di bilancio».
Molto più tranquilla la situazione dell’Università Popolare Mediterranea di Crotone, presieduta da Maurizio Mesoraca: una onlus attiva dal 2007, con corsi gratuiti (tranne i 20 euro di tessera annuali e un piccolo contributo per inglese e computer) e docenti che insegnano gratis. «Siamo 200 soci che ragionano come un corpo unico e ogni tanto facciamo una sottoscrizione straordinaria per ripianare qualche minimo debito», spiega Mesoraca.
«Un altro piccolo miracolo delle università dedicate alla terza età», conclude Florenzano, «è che qui si inverte il rapporto intergenerazionale: di solito gli insegnanti sono più giovani degli “studenti”, perciò conta solo la competenza di chi insegna». Purtroppo, lamenta Galazzo, che è anche nella dirigenza dell’Unieda, «in Italia non esiste una legge quadro sulle Università popolari, perciò abbiamo sentito l’esigenza di creare una federazione: volevamo uniformare i vari centri sparsi per la penisola, ma è difficile perché ci sono realtà radicate in loco».
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