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Famiglia & Minori

I rischi dell’adozione aperta

Marco Chistolini, psicologo esperto di adozione, interviene nel confronto sull'adozione aperta. «Sono favorevole, ma sono contrario alla diffusa convinzione che il mantenimento dei rapporti sia sempre, o quasi, un bene». Ecco allora tutti i rischi e le potenzialità di un'adozione aperta, senza ideologie. E per gestirla? «Spetta ai genitori decidere frequenza e modalità delle relazioni tra il figlio e la famiglia biologica. È più corretto parlare di rapporti tra le due famiglie»

di Marco Chistolini

Ho seguito con molto interesse il dibattito sul tema dell’adozione mite e aperta e ringrazio sinceramente VITA per averlo promosso e per darmi la possibilità di prendervi parte con questo scritto (nelle correlate tutti gli interventi sul tema, ndr). Come psicologo e psicoterapeuta che da molti anni si occupa di adozione e nella mia veste di responsabile scientifico di Ciai ritengo sia molto utile che ci si confronti in merito, sia perché si tratta indubbiamente di un tema complesso e difficile, sia perché sull’argomento c’è ancora molta confusione, soprattutto sulla differenza tra adozione aperta e mite.
La prima è un’adozione “piena”, legittimante, in cui viene reciso il rapporto giuridico ma vengono mantenuti o ristabiliti – per decisione del magistrato o per l’azione dei protagonisti – i rapporti tra famiglia di origine e famiglia adottiva. La seconda è un’adozione effettuata in base all’art. 44 comma d) che mantiene i rapporti giuridici e di fatto con la famiglia di origine. In questa sede le considererò come un'unica realtà concentrandomi sulla loro comune caratteristica dell’instaurarsi o mantenersi dei rapporti tra famiglia adottiva e famiglia biologica.

Il tema è controverso e – come noto – porta ad assumere posizioni radicalmente schierate contro o a favore l’apertura nell’adozione. Tra i favorevoli molti la considerano un fenomeno ineluttabile che, anche volendolo, non può essere fermato. Altri la vedono come una iattura che metterebbe in crisi l’idea stessa di adozione. Penso che sia necessario incardinare la riflessione su tale realtà in modo “laico”, cercando di evitare di farci trascinare e confondere da prospettive di principio e ideologiche a favore o contro. Il mio contributo alla riflessione intende articolarsi in questo modo: una premessa sul significato dell’adozione aperta in Italia, una riflessione sui suoi possibili effetti e alcune brevi considerazioni su come andrebbe gestita.

Qualche considerazione introduttiva

Per cominciare vorrei osservare che l’idea di conservare la relazione tra il minore adottato e la famiglia di origine è frutto, in Italia, di una visione “famiglio-centrica” che, ormai da molti anni, si è imposta nel pensare e nell’agire degli operatori giuridici e psicosociali che si occupano di famiglie e minori in difficoltà. Da tempo, infatti, l’obiettivo di mantenere il minore all’interno della propria famiglia di origine o comunque in relazione con essa quando allontanato, costituisce un criterio guida dei progetti di tutela minorile, con effetti spesso estremamente dannosi per lo sviluppo psicologico dei bambini e dei ragazzi.

L’adozione mite o aperta, quindi, si sta imponendo all’attenzione degli addetti ai lavori in questa cornice valoriale che mette al centro la conservazione della relazione tra il minore e la famiglia di nascita come un bene da preservare a prescindere o quasi. Una prova tra le tante di questo approccio mentale è data dall’enfasi con cui numerosi professionisti e studiosi sottolineano il bisogno che molti figli adottivi manifestano di mantenere o recuperare il contatto con la famiglia di nascita e la scarsa attenzione che viene data alle persone adottate che questo contatto non desiderano avere. Questa diversa attenzione ai due opporti atteggiamenti degli adottati è stata autorevolmente evidenziata da Wrobel & Grotevant1, che scrivono: «Tuttavia, se non hanno (le persone adottate, ndr) alcun desiderio di cercare i genitori naturali – e questo è un gruppo piuttosto numeroso – non dovrebbero essere forzati. I non ricercatori nel nostro campione erano generalmente ben adattati, quindi la ricerca non sembra essere un compito di sviluppo necessario… Non tutte le persone adottate mostrano la stessa curiosità per le loro adozioni. Alcuni non ne mostreranno affatto e per altri la curiosità può aumentare e diminuire nel tempo. Anche il contenuto della curiosità è unico per ciascun individuo. Pertanto, anche il desiderio di maggiori informazioni può variare, in diretto contrasto con il presupposto che se non si dispone di informazioni conosciute, si vorrà sicuramente volerne avere. Questo non è sempre il caso. Coloro che hanno poche informazioni sulle loro adozioni e che non desiderano cercarne altre o avere contatti con i familiari di nascita hanno avuto minor attenzione nella letteratura scientifica». In altre parole, gli studiosi si interessano di coloro che vogliono mantenere o ripristinare i contatti e si disinteressano di quelli che tale desiderio non hanno.

L'adozione aperta si sta imponendo all’attenzione degli addetti ai lavori in questa cornice valoriale che mette al centro la conservazione della relazione tra il minore e la famiglia di nascita come un bene da preservare a prescindere o quasi. Inoltre gli studiosi si interessano di coloro tra gli adottati che vogliono mantenere o ripristinare i contatti e si disinteressano di quelli che tale desiderio non hanno.

Marco Chistolini

Allo stesso modo, sottolineare l’alto numero di adozioni miti in Italia come prova dell’ineluttabilità dell’apertura nell’adozione, rappresenta un’evidente forzatura logica: come se le adozioni miti fossero un fenomeno naturale e non la conseguenza di precise scelte compiute dai Servizi e dai Tribunali! In questo modo si assume una posizione tautologica per cui l’effetto di un fenomeno diventa la causa dello stesso fenomeno.

Le conseguenze dell’apertura nell’adozione

Quanto scritto fin qui potrebbe far pensare che io sia contrario alla possibilità che il minore adottato mantenga la relazione con i familiari di origine. Invece sono favorevole e già molto anni fa ho espresso l’auspicio che l’adozione aperta venisse introdotta nella normativa italiana (Chistolini, 2015)2. Ciò che intendo contrastare è la diffusa convinzione che il mantenimento dei rapporti sia sempre, o quasi, un bene e/o una necessità alla crescita del minore. Non è così. Le ricerche indicano chiaramente che seppure mantenere i contatti ha generalmente effetti positivi, può anche avere conseguenze estremamente negative.

Io sono favorevole all’adozione aperta ma intendo contrastare la diffusa convinzione che il mantenimento dei rapporti sia sempre, o quasi, un bene e/o una necessità alla crescita del minore. Non è così. Le ricerche indicano chiaramente che seppure mantenere i contatti ha generalmente effetti positivi, può anche avere conseguenze estremamente negative

Lo spiegano bene gli studiosi spagnoli che in una recente rassegna delle ricerche sul tema scrivono (Smith, Gonzalez-Pasarin, Salas, 2020)3: «Pertanto, sebbene gli operatori dovrebbero essere consapevoli del numero considerevole di benefici che gli adottati possono trarre dall'adozione aperta, devono anche essere attenti ai potenziali rischi che possono presentarsi caso per caso. A questo proposito, va sempre ricordato che il benessere del bambino è fondamentale in qualsiasi progetto di contatto… In conclusione, la ricerca mostra che, nel complesso, i vantaggi dell'adozione aperta superano gli svantaggi. Gli assistenti sociali in questo campo, e in particolare quelli in paesi come il nostro (Spagna, ndr), dove l'adozione aperta è ancora agli inizi, devono quindi essere consapevoli che il contatto post-adozione e l'apertura comunicativa possono avere un significativo impatto positivo significativo sul triangolo adottivo (adottato, famiglia di nascita e genitori adottivi). Tuttavia, la decisione di consentire il contatto post-adozione con le famiglie di origine dovrebbe sempre essere presa caso per caso, in modo da ridurre al minimo il rischio che il bambino subisca danni fisici e/o psicologici».

Dobbiamo stare molto attenti, quindi, a questa imperante mitizzazione del rapporto biologico minore-famiglia di origine che lo fa considerare utile e/o inevitabile, concentrandosi principalmente sui potenziali benefici e trascurandone i possibili effetti dannosi.

Qualche criterio per gestirla…

Alla luce di quanto sopra riportato proviamo a suggerire alcuni criteri utili a valutare quando il mantenimento dei rapporti può avere effetti positivi e quando, viceversa, può essere nocivo. Ovviamente le variabili da considerare sono tante e non è questa la sede per citarle e discuterle tutte. Mi limito a menzionare quelle che mi appaiono meno ovvie e particolarmente importanti.

Per cominciare va ricordato l’atteggiamento dei familiari di nascita nei confronti dell’adozione e della famiglia adottiva. È particolarmente importante, infatti, che costoro mostrino di accettare la decisione della magistratura di collocare in adozione il bambino-adolescente, in caso contrario lo stesso, nel mantenere il contatto, si troverebbe a sperimentare un messaggio di opposizione alla sua collocazione adottiva che lo metterebbe in un pesante conflitto di lealtà.

Un altro aspetto che deve essere attentamente valutato è l’effetto che mantenere la relazione può avere sul percorso di elaborazione della separazione dalla famiglia di origine che il minore adottato deve fare. Non è scontato, infatti, come molti credono, che continuare a incontrare i genitori aiuti il bambino a capire le ragioni del suo allontanamento da loro. Può essere così o può accadere esattamente l’opposto allorquando negli incontri, di durata limitata, gli adulti possono apparirgli come estremamente adeguati e competenti – giocano, portano regali, sono pazienti e tolleranti… – in modo da rendere assai più difficile per lui comprendere per quale ragione non possa vivere con loro e debba stare con genitori adottivi che, sì gli vogliono bene e se ne prendono cura adeguatamente, ma mettono regole e sono talvolta stanchi e nervosi.

Un aspetto che deve essere attentamente valutato è l’effetto che mantenere la relazione può avere sul percorso di elaborazione della separazione dalla famiglia di origine che il minore adottato deve fare. Non è scontato, infatti, come molti credono, che continuare a incontrare i genitori aiuti il bambino a capire le ragioni del suo allontanamento da loro. Può essere così o può accadere esattamente l’opposto

Infine, si deve considerare l’importanza che assume la frequenza e la modalità di un’eventuale continuazione dei rapporti. È facile comprendere la rilevante differenza che vi sarebbe se i rapporti con la famiglia di origine avvenissero con cadenza mensile o due volte all’anno, così come sarebbe assai diverso se ci fossero incontri in presenza o uno scambio di lettere. A questo proposito ritengo molto discutibile che sia l’autorità giudiziaria a stabilire modalità e frequenza dei rapporti tra le due famiglie o che questo potere sia attribuito ai servizi socio-sanitari. Considero molto più appropriato che i magistrati si limitino, laddove sia autenticamente nell’interesse del minore, a prescrivere il mantenimento dei rapporti, affidando ai genitori adottivi, essendo costoro gli adulti esercenti la responsabilità genitoriale, la responsabilità di decidere frequenza e modalità delle relazioni tra il figlio e la famiglia biologica e ai servizi socio-sanitari il compito di aiutare le due famiglie a relazionarsi e a trovare un accordo equilibrato. In questa ottica ritengo più corretto parlare di rapporti tra le due famiglie piuttosto che tra il minore e i familiari biologici, come se i genitori adottivi non fossero coinvolti.

Conclusioni

In definitiva si può affermare che l’apertura nell’adozione aperta è un tema estremamente complesso sul quale abbiamo ancora tanto da imparare avendo in Italia un’esperienza molto limitata ed essendo la ricca letteratura scientifica internazionale relativa a realtà piuttosto diverse dalla nostra. È indubbio che essa possa rappresentare una soluzione utile in molti casi, ragion per cui opporvisi pregiudizialmente non ha senso. Allo stesso tempo si deve stare attenti a mitizzarne l’utilità, come ha fatto la Corte di Cassazione e come stanno facendo molti addetti ai lavori. È necessario assumere un approccio razionale, umile e non ideologico che apra la strada alla sperimentazione di questa modalità di adozione laddove sia davvero benefica per il minore e ci permetta di imparare dall’esperienza.

Consapevole di questa complessità, Ciai da tempo sta lavorando su tema dei contatti tra famiglia adottiva e famiglia biologica. Già cinque anni fa ha creato un gruppo di confronto tra genitori adottivi impegnati nell’adozione aperta e successivamente ha promosso un corso di formazione online su adozioni aperte e miti e uno specifico servizio di consulenza e accompagnamento per le famiglie e gli operatori che si cimentano con tali progetti.


Note

1 Wrobel, G. M., & Grotevant, H. D. (2019), "Minding the (information) gap: What do emerging adult adoptees want to know about their birth parents?" Adoption Quarterly, 22 (1), 29–52, https://doi.org/10.1080/10926755.2018.1488332

2 Chistolini M. (2015), Affido sine die e tutela dei minori. Cause, effetti e gestione, Franco Angeli

3 Smith, M., González-Pasarín, L., Salas, M. D., & Bernedo, I. M. (2020), "Review of benefits and risks for children in open adoption arrangements", Child & Family Social Work, 25 (4), 761–774, https://doi.org/10.1111/cfs.12753

*Marco Chistolini, psicologo, psicoterapeuta e formatore, è responsabile scientifico del Centro Italiano Aiuti all'Infanzia-Ciai

Foto di Luana Azevedo su Unsplash


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