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Cooperazione & Relazioni internazionali

I sacrifici di missionari e costruttori di pace chiedono a gran voce un Ministero della Pace

Il coraggio del vescovo Christian Carlassare, gambizzato per sfidare i Padroni della guerra del Sud-Sudan, l’educazione liberatrice della missionaria Nadia De Munari, nella baraccopoli di Nuevo Chimbote in Perú e poi Luca Attanasio, Mario Paciolla e Giulio Regeni. Il Governo Draghi per farne memoria dovrebbe promuovere il Ministero della Pace, come richiesto da varie voci della societá civile italiana

di Cristiano Morsolin

«Ero certo che mi avrebbero ammazzato. Ho pensato solo: così sia, sono pronto. La mia vita è data. E basta… Non ho avuto molto tempo e mi sono concentrato sull’attimo che stavo vivendo. Per un istante ho calcolato se vi fosse una via di fuga ma ho riposto subito l’idea, sarebbe stato assurdo farmi uccidere con una pallottola alla schiena. Parlavo, parlavo, e loro non rispondevano. Poi hanno esploso i colpi di kalashnikov, sei o sette, e quattro mi hanno raggiunto alle gambe. Quando ero già a terra credo mi abbiano colpito alla testa».

La notizia dell’attentato in Sud Sudan al missionario comboniano Christian Carlassare, il piú giovane vescovo italiano scelto da Papa Francesco a soli 43 anni, giunge anche qui a Bogotá.

Il Corriere dá eco al coraggio di padre Carlassare, originario di Schio (Vicenza) che sottolinea: «La mia gente sta soffrendo più di me per quanto è accaduto. Ripartiremo insieme, più forti e, spero, più saggi di prima. Quando ho accettato la nomina a vescovo sapevo di poter correre qualche rischio, ma l’idea di poter essere vittima di un agguato premeditato non mi ha mai sfiorato. Ora che ci penso è stata una mia leggerezza: questa terra ha subito tale e tanta violenza da essersi dimenticata il valore del dialogo. La gente conosce l’amore, ma ha bisogno di essere educata alla pace. Mentre mi portavano all’aeroporto, una donna, per strada, ha gridato: “Torna padre, se devi morire, moriremo insieme”».

La missione di liberazione

Padre Christian Carlassare, qualche mese prima di essere nominato vescovo di Rumbek l’8 marzo scorso, aveva scritto il libro “La capanna di Padre Carlo” (Comboni Edizioni, 2021). In questi giorni, dopo l'attacco che ha subito, abbiamo conosciuto maggiormente il suo pensiero, la sua spiritualità e il suo stile di missione.

Lo stesso vescovo Carlassare ne traccia una sintesi sul significato profondo della sua Missione di liberazione:

«Ho scelto la forma romanzata perché mi è sembrato di poter parlare a tutti della vita che ho sperimentato nella mia missione di Fangak e trasmettere quanto ho imparato dalla gente in modo più vivido di quanto non avrei potuto fare con uno studio storico o riflessione teologica e spirituale. La scelta del titolo – La capanna di padre Carlo – fa riferimento a un romanzo che rimane impresso nella mia memoria di giovane lettore. La capanna dello zio Tom è stato il primo libro che mi ha introdotto nel tema della liberazione dei neri. Oltre a presentare la cruda realtà dell’oppressione dei neri in America, l’autrice – Harriet Beecher Stowe – sostiene che solo l’amore cristiano può superare qualcosa di così distruttivo come la schiavitù degli esseri umani, e ogni sorta di soggezione e impoverimento. Il libro riportava anche un sottotitolo, vita fra gli umili, che trovo molto significativo per parlare del mio scritto e presentare l’evangelizzazione in Africa».

La missione è dunque la protagonista del libro: una missione di liberazione che vuole salvare l’umano in ogni persona e situazione.

I personaggi sono ispirati a persone reali incontrate. Ho cercato di presentarne i tratti e l’insegnamento che ho colto da ciascuno di loro. Ogni personaggio si mostra immerso nelle proprie contraddizioni che celano ma non annientano la bontà di ciascuno; nessuno può essere innalzato, come nessuno può essere condannato. Tutti presentano grandi aspirazioni. E lo Spirito di Dio opera nel cuore di ciascuno per il compimento di qualcosa di più grande. Ecco, sotto sotto, è proprio lo Spirito di Dio il protagonista nascosto nelle vicende raccontate.

La missione viene presentata nella forma del viaggio-cammino dove l’incontro con la nuova realtà si dispiega progressivamente. La missione diventa incarnazione nel vissuto delle persone con cui si fa “causa comune”. Una missione dunque che ha un principio umile, essenziale e povero prima di preoccuparsi di mettere in pratica programmi specifici con mezzi precisi.

Durante il cammino il missionario è anche chiamato a fare un percorso interiore di riscoperta di sé, conversione e trasfigurazione superando limiti e contraddizioni personali. È chiamato a dimenticarsi di sé per fare spazio alla realtà della gente. Durante il cammino la popolazione ha modo di farsi conoscere e presentare la ricchezza della propria cultura e tradizione, anche quando si scontra con la modernità e la dottrina cristiana. Non si tratta infatti di sostituire i valori tradizionali con quelli cristiani, ma di scoprire quanto gli uni siano compenetrati negli altri e possano entrambi arrivare a maturazione grazie a questo scambio.

Con il proseguire del percorso c’è anche un progressivo dispiegarsi delle fasi della vita della popolazione a partire dalla nascita e infanzia, all’adolescenza e giovinezza, alla vita adulta con il matrimonio, la famiglia e la morte.

Il conflitto che ha insanguinato il Sud Sudan (1983-2005) fa da sottofondo a tutta la storia facendo notare quanto la violenza abbia marcato la cultura e il modus vivendi delle persone e della società sudsudanese. Smascherando questo fatto, il libro intende incoraggiare i lettori a impegnarsi nella costruzione di una società più umana e fraterna superando tutti quegli ostacoli che dividono le persone: l’ignoranza, la paura, il pregiudizio” conclude p. Carlassare.

All’ombra della fabbrica Lanerossi e del campanile di Schio

Anche Nadia De Munari, volontaria espatriata dell’Operazione Mato Grosso, coordinava sei asili a Nueva Chimbote, accompagnando 500 minori, era originaria di Schio, quartiere Giavenale, sede del colosso tessile Lanerossi, collegata con traforo con Valdagno, sede dell’altra multinazionale tessile Marzotto, simboli di lotte operaie e laboratorio del cattolicesimo sociale.

Nadia De Munari – missionaria laica in Perù dal 1995, 50 anni, originaria del quartiere di Giavenale – non ce l’ha fatta: è morta venerdì per le conseguenze di un’aggressione avvenuta a Nuevo Chimbote, sulla costa centro-settentrionale del Paese, nella casa “Mama Mia”, il centro dell’Operazione Mato Gosso per il quale svolgeva il suo servicio recentemente, dopo l’esperienza in Llamellin. Una morte che va ad aggiungersi a quella di altri due missionari italiani di questa stessa associazione, colpiti in Perù in anni recenti: nel 1992 era stato infatti ucciso il laico valtellinese Giulio Rocca, colpito a morte dai guerriglieri di Sendero Luminoso. Nel 1997 a donare la vita era stato invece padre Daniele Badiali, missionario fidei donum della diocesi di Faenza, coinvolti in quel conflitto armato (1980-2020) di cui VITA ha documentato in varie occasioni, come la presentazione del rapporto finale della Commissione della Veritá sui vent’anni di violazioni dei diritti umani nel 2003 e per i novant’anni di padre Gustavo Gutiérrez Merino, il celebre teologo peruviano domenicano considerato tra i maggiori fondatori della teologia della liberazione.

Il movimiento Operazione Mato Grosso OMG, fondato più di 40 anni fa da padre Ugo De Censi, ha il suo cuore proprio nella Sierra, le montagne della Cordigliera delle Ande. Lì ai 3200 metri di altezza di Chacas, tra la povertà e la desolazione della gente che si dedicava all’agricoltura di sussistenza e al lavoro in miniera, padre Ugo aveva avuto l’idea di insegnare mestieri quali la carpenteria, la scultura, l’artigianato. Oggi l’Operazione Mato Grosso – presente anche in Bolivia, Ecuador e Brasile – ha 50 missioni in Perù dove il lavoro è sostenuto dalle donazioni che i volontari raccolgono imbiancando case, raccogliendo rifiuti, vendendo materiali riciclabili e come braccianti nelle fattorie.

Vicinanza paterna di Papa Francesco

Un episodio di violenza «nuovo e ingiustificabile», che «si aggiunge ai tanti altri in cui hanno perso la vita missionari e missionarie mentre compivano con abnegazione il proprio servizio al servizio del Vangelo e di assistenza ai più bisognosi e indifesi». In una lettera, a firma del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin e indirizzata al vescovo di Chimbote, monsignor Angelo Francisco Simón Piorno, papa Francesco ha voluto esprimere «vicinanza paterna» ai genitori, ai familiari e a tutti quanti erano vicini a Nadia De Munari, 50 anni, missionaria laica dell’Operazione Mato Grosso morta sabato scorso a Lima, dopo essere staa aggredita due giorni prima a Nuevo Chimbote. Il Pontefice «offre preghiere per l'anima di questa volontaria e l'affida all'intercessione della Madre di Dio» e «impartisce con affetto la confortante benedizione apostolica, segno di fede e speranza in Gesù Risorto» ai partecipanti alle esequie in Perú.

Nadia, profeta dell’educazione liberatrice

Azucena Beltrán Cisneros, amica di Nadia a Nuevo Chimbote, rivolgendosi idealmente alla missionaria, afferma: «Cara Nadia, cara combattente per l’educazione dei nostri figli, hai insegnato che la semplicità e l’umiltà e la solidarietà nascono dal cuore quando le sai coltivare. Riposa in pace».

Anche Giovanna Martelli, ex parlamentare mantovana, ricorda che «la vita di Nadia, dedicata all’educazione dei bambini, unica possibilità per avere una vita migliore, il suo un esempio per tutti noi».

Silvia De Munari, volontaria vicentina della Comunità Papa Giovanni XXIII da otto anni in Colombia, ha partecipato alla veglia di preghiera di domenica scorsa nella parrocchia di Giavenale, di cui Nadia de Munari era molto legata e comenta a VITA: «Questa è la felicità: non deriva dall’accumulare, ma dal regalare. Può essere un sorriso, un gesto, una chiacchierata. Tu hai bisogno, io ti aiuto. Questo è ciò che ci arricchisce», diceva Nadia De Munari. "Una seminatrice di bontà". Grazie Nadia. Mi colpiscono tutti questi giovani dell’Operazione Mato Grosso in ginocchio alla veglia di preghiera di domenica. Veglia nel piazzale dietro chiesa Giavenale. Un cartellone viola con scritto "Grazie Nadia". Un forte silenzio rotto dalla recita del Rosario».

«Seminatrice di bontà», cosi la definisce Vania, la sorella di Nadia De Munari, uccisa barbaramente in Perú, colpita da machete alla testa, in piena notte nella casa-famiglia della baraccopoli di Nueva Chimbote, mercoledi 20 aprile. Vania de Munari, sottolinea che «Nadia è un’italiana massacrata all’estero come Giulio Regeni. Noi chiediamo l’Italia indaghi. Mia sorella ha dedicato la vita agli altri, ora l’Italia si occupi di lei».

Risponde il deputato Erasmo Palazzotto, Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta su Regeni, affermando che sente «grande dolore per la morte di Nadia De Munari in Perù. Una vita dalla parte degli ultimi a partire dalla scuola per i bambini più poveri. Un omicidio inspiegabile di una donna giusta. Vicinanza alla sua familia».

La cugina Katia de Munari, assessore all’istruzione del Comune di Schio, 44 anni, spiega a VITA: «chiediamo aiuto alle istituzioni italiane per riportare Nadia presto a casa e che sia fatta giustizia. Indaghi l'Interpol, hanno già perso tempo prezioso. Mia cugina non aveva soldi da rubare: era in Perù da vent'anni, ha creato sei asili e una scuola elementare ma non percepiva denaro».

L’assessore Katia, cugina di Nadia, aggiunge: «Nadia, sei sempre stata il sole per tutti noi, hai dedicato la tua vita ad amare ed aiutare il prossimo. Le tue toccate e fuga a casa erano sempre organizzate al secondo ma nonostante tutto riuscivamo a trovare sempre il tempo per una cena tra cugine. Eravamo lontane sì, ma sempre vicine. I tuoi bambini erano fonte di orgoglio e gioia per te e io non vedevo l’ora di ricevere tue notizie, video e le innumerevoli foto del tuo bellissimo mondo pieno d’amore. Sei stata un dono dal cielo per tutti».

Leggo a Katia la testimonianza di Rita Guerrero, accolta nella casa famiglia di Llamellin (Ancash) da Nadia, che considera una mamma: “ E’ tanto il dolore che sentiamo, siamo molte figlie che abbiamo condiviso la vita con la señorita Nadia. Lei ha regalato tutta la sua gioventú – arrivó qui che aveva 24 anni, alla missione del Padre Ugo de Censi, nessun volontario merita questa disgrazia. L’unica cosa che fanno questi volontari italiani é aiutare la povera gente.

Il popolo, el pueblo de Nueva Chimbote deve ringraziare questo aiuto di Nadia ma anche aiutare nelle indagini per investigare questo crimine, che non continui questa maldad tan grande”, conclude Rita Guerrero.

L’assesore Katia De Munari, cugina di Nadia, responde: «Carissimo Cristiano, io ti ringrazio infinitamente per quanto hai fatto…un insieme di forze positive hanno fatto in modo di portare a casa Nadia in tempi rapidissimi…. Appena possibile vorrei tanto conoscerti di persona. Nel frattempo condivido l'epigrafe che è stata appena ufficializzata. Un caro abbraccio a chi lavora in America Latina, non vi dimentico mai! Ora vado dai miei zii… Ci sentiamo presto… Con calma!».

I funerali di Nadia de Munari saranno celebrati lunedì 3 maggio alle 16 nel Palazzetto dello Sport “Livio Romere” di Schio. La celebrazione sarà presieduta dal vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, e concelebrata dal vescovo di Huari (Perù), monsignor Giorgio Barbetta, appartenente al movimento dell’Operazione Mato Grosso, insieme a tutti i sacerdoti che potranno intervenire. L’accesso al Palazzetto dello Sport per il funerale sarà consentito liberamente a partire dalle 15 e fino ad esaurimento dei posti disponibili nel rispetto del protocollo sanitario per le celebrazioni religiose. La celebrazione, precisa un comunicato della diocesi di Vicenza, sarà trasmessa in diretta streaming sul Canale YouTube della Diocesi di Vicenza.

Conclusione

Conobbi personalmente Nadia de Munari nel 1992, nei campi di lavoro Omg nel vicentino. Ricordo che parlammo del martirio e della scelta di fede di Giulio Rocca, ucciso dalla guerriglia di Sendero Luminoso nel 1991. Nadia viene uccisa per la stessa scelta d’amore e fede per i poveri di Giulio e di padre Daniele Badiali. È il volto missionario dell’impegno della diocesi vicentina che segue il cammino della Chiesa in Uscita di Papa Francesco.

Il coraggio del vescovo Christian Carlassare, gambizzato per sfidare i Padroni della Guerra nel Sud-Sudan e la filosofía salesiana dell’educazione liberatrice di Don Bosco, che hanno ispirato la missionaria Nadia De Munari (Perú), riportano l’attenzione sul significato della cooperazione tra i popoli nel Secolo XXI.

Per questi motivi, per fare memoria di Nadia de Munari, del nostro ambasciatore in Congo, Luca Attanasio, di altri “costruttori di ponti e di pace in zone di guerra e conflitti strutturali” come Mario Paciolla e Giulio Regeni, il Governo Draghi dovrebbe promuovere il MINISTERO DELLA PACE, come richiesto da varie voci della societá civile italiana come Comunitá Papa Giovanni 23, FOCSIV, CIPSI, Osservatorio SELVAS.

«In questo momento il Paese è gravido di conflitti sociali e politici acuiti dalla pandemia, che solo se sapientemente e prospetticamente affrontati, può ridursi il rischio che degenerino ulteriormente fino a divenire insolubili. Riteniamo per tanto doveroso chiederle, se lo riterrà, di porre nell’agenda politica del governo che si è impegnato a formare una sostanziale attenzione alla Pace, attraverso l’istituzione del Ministero della Pace» scrive Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII al Primo Ministro Mario Draghi, come documentato da VITA.


*Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina, dove vive dal 2001


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