Idee Capitalismi

Economia sociale, serve una coalizione per uscire dal confino nel Terzo settore

«Credo sia in atto un tentativo – politico e deliberato – di confinare l’economia sociale al Terzo settore, inteso come un’area residuale, deputata a coprire i fallimenti di Stato e mercato: quei servizi che nessuno vuole o può erogare. Questa visione fa comodo a chi detiene le maggiori rendite di potere, sia nel pubblico che nel privato. Occorre allargare il campo». L'intervento dell'economista dell'università Statale di Milano

di Alessandro Sancino

L’economia sociale può – e deve – diventare maggioritaria. Per farlo, però, occorre allargare il campo e costruire una coalizione di attori disposti a socializzare l’intera economia, mettendo al centro il purpose civico e sociale. In questo scenario, le amministrazioni e le aziende pubbliche di prossimità – come Comuni, scuole e università, ospedali, musei, utilities pubbliche (alcune tra le imprese italiane più redditizie) – possono e devono giocare un ruolo di leva strategica, sia finanziaria che di governance.

Sostengo questa ipotesi con profondo rispetto per l’identità e la “purezza” che caratterizzano le radici dell’economia sociale. Ma credo sia in atto un tentativo – politico e deliberato – di confinare l’economia sociale al Terzo settore, inteso come un’area residuale, deputata a coprire i fallimenti di Stato e mercato: quei servizi che nessuno vuole o può erogare. Questa visione fa comodo a chi detiene le maggiori rendite di potere, sia nel pubblico che nel privato.

Come allargare, allora, il campo dell’economia sociale?

Partiamo valore pubblico territoriale. Pensando l’Italia come una costellazione di piccole comunità locali – anche nei contesti urbani – e creando ecosistemi e filiere civico-sociali. Proviamo per un momento a pensare in modo sistemico e congiunto: attori dell’economia sociale, amministrazioni locali, negozi di prossimità, società benefit (su cui Marco Morganti sta offrendo visione e concretezza), ma anche imprese che si comportano come vere anchor institutions, integrando nel proprio purpose e nelle operations la responsabilità sociale e il radicamento nel territorio. Ecco la possibile coalizione della maggioranza per una nuova economia civile.

Questi ecosistemi civico-sociali sono già realtà – spesso maggioritarie – in molte aree interne e in decine di piccoli e medi comuni italiani. Non si tratta di contaminare o snaturare l’economia sociale, né di includere tutto e tutti. Ha ragione Mario Calderini quando dice che servono anche dei “buttafuori”, oltre ai “buttadentro” (spesso legati a logiche di social washing). E ha ragione Paolo Venturi a parlare di desideri e aspirazioni (vedi l’editoriale di VITA magazine di luglio-agosto). È proprio intorno a questi desideri di valore civico e giustizia sociale che si possono generare nuove filiere e nuove coalizioni. Intenzionalità comuni che uniscono attori finora percepiti come distanti o addirittura antitetici, attorno a una battaglia condivisa. Perché ci sono avversari strutturati di queste intenzionalità – dalle multinazionali del fast fashion alle piattaforme digitali estrattive – e un fronte comune può nascere anche da una minaccia condivisa, non solo da un’identità condivisa.

Serve una lotta, sì. Contro chi estrae valore dai territori in modo insostenibile. E nella lotta si può trovare una nuova unità, superando le divisioni. L’obiettivo è ambizioso: arrivare al simbolico 51% – e oltre – di un’economia nuova, più giusta, più sociale. Oggi, all’economia sociale non basta più erogare servizi, redistribuire, fare advocacy o colmare lacune di Stato e mercato. È chiamata a costruire coalizioni e socializzare Stato e mercato, generando ecosistemi e filiere civico-sociali.

È un lavoro politico e strategico, che attraversa l’economia e le organizzazioni. Ma è anche l’unico modo per garantire sostenibilità di lungo periodo a molte realtà dell’economia sociale. Ed è, forse, l’unico modo per dare un’anima e una visione all’Europa: un’Europa che, in discontinuità con altre aree geopolitiche del mondo, riscopra il suo vantaggio competitivo più vero e profondo – la qualità della vita sociale e civile.

Foto di toodlingstudio da Pixabay

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