Idee Comunicazione

Francesco e le parole. L’indimenticabile lezione del “copywriter di Dio”

La capacità comunicativa di papa Bergoglio stupisce. Invidiabile il suo saper trovare termini indimenticabili per descrivere il nostro tempo. Come "Chiesa in uscita", "ospedale da campo, "cultura dello scarto" o "la globalizzazione dell'indifferenza"

di Doriano Zurlo

Chi si interessa di comunicazione non dovrebbe lasciarsi sfuggire la newsletter di Mizio Ratti, pubblicitario di lungo corso e di larga fama, che ogni volta offre una panoramica internazionale aggiornata su cosa viene prodotto nel settore dell’advertising.

Nel numero di fine aprile, Ratti definisce Papa Francesco il “copywriter di Dio“. La cosa mi ha stupito favorevolmente e anche colto un po’ di sorpresa perché, in un articolo intitolato Teologia e copywriting – programmato per uscire questo mese su Lingua Italiana – ho anch’io accennato a qualcosa del genere, anche se in modo più stringato e partendo da altri presupposti.

Il copywriter di Dio

Francesco “copywriter di Dio” è un’espressione forte. A qualcuno potrebbe risultare persino antipatica. I pubblicitari, nella percezione comune, sono brutti figuri che maneggiano tecniche di persuasione manipolative e spingono la società nel baratro del consumismo più bieco. Mi sento di dire che non è così. O almeno “non del tutto” così. Per quanto ne so e mi riguarda, sono altre le officine della persuasione occulta, nel mondo atomizzato dai social e devastato dalla post-verità. Di questo però parleremo in un altro momento.

Quello che mi ha colpito, di quello che ha scritto Ratti sulla capacità comunicativa di Papa Francesco, è la sintesi alla quale approda, che voglio riprendere così com’è, perché la trovo meritevole di lettura e riflessione.

Cosa sappiamo davvero di comunicazione efficace?

Scrive Ratti: «Mentre il marketing digitale si perde in ottimizzazioni e segmentazioni sempre più raffinate, lui (Francesco, ndr) ci ricordava che la comunicazione è prima di tutto un atto umano. Non un algoritmo, non un grafico, non una dashboard. Ma un ponte tra persone. Tra imperfezioni e fragilità. In un mondo dove la presunta infallibilità dei dati è diventata quasi un nuovo dogma, Francesco ha portato la verità disordinata dell’esperienza vissuta. “La realtà è superiore all’idea”, ha scritto nella sua esortazione apostolica. Era forse questa la sua più grande lezione di comunicazione: in un’epoca di realtà aumentata, virtuale, filtrata e misurata fino all’ossessione dai social, la verità nuda e cruda ha ancora un potere dirompente.

La lezione più grande di Francesco per chi fa comunicazione? I numeri ti dicono quanto è grande il tuo pubblico, ma non come raggiungere il loro cuore. Le metriche ti dicono cosa funziona, ma non perché una storia risuona nell’anima. I dati possono ottimizzare un messaggio, ma solo l’umanità e la capacità di comprendere le persone può renderlo memorabile. Se un uomo di 88 anni, senza social media manager e senza consulenti d’immagine, è riuscito a parlare al cuore di milioni di persone meglio di brand con budget milionari e oceani di dati a disposizione, è il caso di ripensare a quello che crediamo di sapere sulla comunicazione efficace».

Un talento naturale 

In modo spontaneo, non perseguendo l’obiettivo di stupire ma semplicemente perché gli veniva naturale, il Papa recentemente scomparso ha trovato parole indimenticabili per descrivere il nostro tempo. Forse questa capacità gli veniva dalla passione per la letteratura e la poesia, che nell’Argentina della sua giovinezza erano impregnate di “realismo magico” ad alto coefficiente evocativo. A chi volesse farsi un’idea di quanto il Papa ritenesse importanti le buone letture, consiglio di dare un’occhiata alla Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione, rilasciata il 17 luglio 2024, e all’articolo La letteratura secondo Francesco (che si è ispirato a Marcel Proust), pubblicato su Vita il 23 dicembre 2024.

C’è anche un episodio, forse non conosciuto da tutti, che vale la pena raccontare. Quando aveva appena 27 anni, Bergoglio insegnava Letteratura e Psicologia alla scuola dell’Immacolata Concezione di Santa Fe. Appassionato, spronava i ragazzi alla scrittura creativa. Un giorno decise di mandare due racconti particolarmente meritevoli, scritti dai suoi studenti, a Jorge Luis Borges, che era già uno scrittore di fama internazionale, perdipiù in odore di Nobel (che poi non vinse). Borges, già quasi cieco, decise di salire su un pullman e di viaggiare otto ore, da Buenos Aires a Santa Fe, per andare a incontrare gli studenti di Bergoglio, ai quali, poi, tenne più di una lezione. La storia è stata raccontata sull’Unità del 22 aprile 2025.

Parole che rimangono

Sono tante le parole significative. Ricordiamo la “terza guerra mondiale a pezzi”, e le perorazioni per una “Chiesa in uscita”, lontana dai recinti rassicuranti delle sagrestie e capace di diventare “ospedale da campo” in un mondo di soprusi, dove a vincere sono pochi e a perdere sono tanti.
Ricordiamo anche: “Se una persona è gay, e cerca il Signore, e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. E come dimenticare “la globalizzazione dell’indifferenza” – citata da un commosso Zygmunt Bauman in molte delle sue ultime conferenze – e la “cultura dello scarto”? Concetti ripetuti più volte, che hanno delineato in modo forte, e inusitato per il linguaggio ecclesiale, una battaglia che Francesco ha combattuto con vigore finché ha avuto respiro.

Francesco inventava metafore, similitudini, sorprendeva con associazioni di idee colorite e inaspettate, dava un corpo fisico alle parole, che diventavano immediatamente immagini, e questo, il professionista lo sa, è l’unico vero segreto del grande comunicatore. Parlando delle presunte apparizioni di Medjugorje, disse che preferiva pensare alla Madonna come madre piuttosto che come direttrice di un ufficio postale che tutti i giorni, alle cinque in punto, recapita un messaggio divino. Immagini vivide, esplicative, memorabili. Ecco come comunicava Bergoglio e come riusciva a entrare nel cuore della gente con un pensiero limpido e chiaro.

La “cultura dello scarto”, senza censura

Per onestà intellettuale, vorrei però anche ricordare che quando Francesco parlava di “cultura dello scarto” si riferiva certamente ai poveri del mondo, agli immigrati e a tutti gli esclusi di ogni ordine e grado, ma egualmente si riferiva a pratiche che ha sempre condannato in modo netto, addirittura con una durezza superiore a quella dei suoi predecessori, come l’aborto e l’eutanasia. Nell’antropologia di Bergoglio, la persona nel ventre materno, così come quella anziana e non più autosufficiente, sono entrambe soggetti deboli, esposti a quella cultura dello scarto che ci “consuma” finché produciamo e che ci getta via quando cessiamo di essere, o non siamo ancora, funzionali.

Questa parte del pensiero di Francesco risulterà assai indigesta anche a molti che hanno applaudito, sinceramente commossi, ai suoi funerali. Censurarla, però, sarebbe una mancanza di rispetto per il suo pensiero.

In apertura Papa Francesco durante un’udienza del 2023, foto di Evandro Inetti/Avalon/Sintesi

Vuoi accedere all'archivio di VITA?

Con un abbonamento annuale potrai sfogliare più di 50 numeri del nostro magazine, da gennaio 2020 ad oggi: ogni numero una storia sempre attuale. Oltre a tutti i contenuti extra come le newsletter tematiche, i podcast, le infografiche e gli approfondimenti.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive