Idee Generazioni

Lavoro, ma ai giovani piace più rendicontare o produrre?

L’impressione è che i giovani lavoratori, un po' per necessità e un po' per virtù, tendano a nascondersi dietro i processi. In altre parole preferiscono monitorare, rendicontare, coordinare piuttosto che mettere mani, faccia e cervello rispetto alla produzione di un certo bene e servizio. Riflessioni a valle del numero di VITA magazine di maggio

di Flaviano Zandonai

Il mondo del lavoro è ancora ricco di rituali e iconografia e quindi possiamo attingervi per costruire anche il passaggio intergenerazionale delineato nell’ultimo numero di VITA magazine.

Un passaggio che non è solo di competenze e capacità ma soprattutto di potere a favore delle giovani generazioni. Certo nel delineare questo trasferimento che dovrebbe riequilibrare asimmetrie all’origine di evidenti disuguaglianze occorre tener conto di un assetto demografico del tutto peculiare che si riflette inevitabilmente anche nel mercato del lavoro. Non esiste, come nel passato, una massa di giovani che preme per prendere l’ascensore della mobilità sociale. Si tratta di una popolazione ridotta in termini numerici a causa dell’inverno demografico (altra eredità delle generazioni precedenti) e che in molti casi, per dirla con l’economista Hirshman, ha optato per la scelta “exit” piuttosto che “voice”. Ha preferito quindi abbandonare il campo migrando piuttosto che organizzare la protesta. Oppure, a ben vedere, ha garantito una lealtà al sistema socio economico però a bassissima intensità, limitandosi ai compiti lavorativi ordinari e disinvestendo sulla componente motivazionale e di auto realizzazione di sé attraverso il lavoro. Una scelta ai limiti dell’autolesionismo guardandola con l’ottica dell’ordine sociale novecentesco, ma al tempo stesso una delegittimazione di uno dei pilastri del contratto sociale realizzando così una sorta di (auto) sovversione.

Ci si ritrova così in una situazione in cui la forza lavoro, anche quella “nuova” stando ai più recenti dati sull’occupazione, è costituita da over 50 della generazione X (non boomers per favore). Persone che hanno attraversato la prima fase di precarizzazione o flessibilizzazione (dipende dal punto di vista) del mercato del lavoro avviata a metà degli anni 90 del secolo scorso e che oggi alle prese con i difficili conteggi del proprio piano previdenziale a causa di carriere discontinue e contratti di lavoro, a volte, poco dignitosi.

Cosa possono dirsi soggetti generazionali piuttosto malmessi come questi? E e soprattutto che razza di trasferimento di potere può avvenire tra essi?

Forse in un ipotetico tavolo di trattativa – ecco l’iconografia – tra queste inedite controparti bisognerebbe esplicitare alcuni oggetti ambivalenti rispetto ai quali ognuno dovrebbe dire la sua, in termini di impegni sia a farsene carico che a lasciare spazio d’azione.

Un tema in particolare mi pare rilevante ed è legato al lavoro sui processi. L’impressione è che i giovani lavoratori, un po’ per necessità e un po’ per virtù, tendano a “nascondersi” dietro di essi. Preferiscono monitorare, rendicontare, coordinare e un po’ meno a mettere mani, faccia e cervello rispetto alla produzione di un certo bene e servizio. Da una parte è una forma di alienazione, dall’altra un rifugio rispetto, appunto, a dinamiche di potere che derivano dal possesso di competenze hard nella produzione da parte dei lavoratori anziani e quindi di decisione nei “momenti che contano”. D’altro canto i processi assumono una crescente centralità grazie a supporti e tecnologie che ingegnerizzano il backoffice organizzativo (anche per soggetti tendenzialmente piccoli e fluidi come quelli di Terzo settore), tanto che oggi il rapporto tra persone che “toccano” le cose e soprattutto le persone nelle relazioni di servizio e quelle che “amministrano” tende decisamente a crescere a favore di queste ultime. 

Rispetto a questa tendenza ormai dominante e che rischia di svuotare non solo le motivazioni individuali ma anche lo scopo, cioè il senso, delle organizzazioni, i lavoratori anziani appaiono particolarmente inadeguati. Semplificando un po’ i giovani gestiscono i processi con chat-gpt, i vecchi – se va bene – con excel.

La partita dei processi è quindi decisiva. Richiede ai lavoratori più giovani di uscire dal guscio e di giocare le loro competenze tecnico specialistiche anche in chiave di potere nei confronti di lavoratori senior magari logori ma ancora, loro malgrado, sulla linea di produzione e quindi con punti di contatto attivi su quella che definiamo la società e l’economia reale. Uno scambio di potere che per gli anziani può consentire un necessario reskilling sui processi e per i giovani un altrettanto decisivo upskilling rispetto a un approccio al lavoro capace di riprodurre narrative e significati comuni. In sintesi lavoratori più competenti e consapevoli capaci di quell’azione collettiva che appare, anche in questi “ruggenti anni 20”, la modalità più efficace non solo per proteggersi ma anche per provare a rovesciare un regime tecnocratico sempre più pervasivo.

Foto: Pexels

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive