Idee Attivismo

L’Ucraina ha davvero bisogno di un suo Giubileo?

È utile l'iniziativa del Movimento Europeo di Azione Non Violenta che con oltre 150 donne e uomini i primi giorni di ottobre sarà in Ucraina? Non lo sappiamo mai prima di partire, ma certamente sentiamo che è giusto, che è doveroso, che sarebbe sbagliato non farlo e non non averlo mai fatto

di Angelo Moretti

Oltre centocinquanta persone si sono iscritte al Giubileo in Ucraina che si terrà dal primo al 5 ottobre prossimi, ed altri cinquanta decideranno in queste ore se aggiungersi o meno a questa marcia della società civile europea. Siamo principalmente italiani, ma non mancano spagnoli, portoghesi, inglesi, belgi e perfino una donna palestinese che abita in Europa da tanti anni.

Ci sono sindaci, professori universitari, presidenti di associazioni nazionali come l’Azione Cattolica, l’Agesci, il Masci, il MoVi, le Acli, la ong New Humanity; ci sono le Reti della Carità e la Fondazione Gariwo, gli stakanovisti della solidarietà come il gruppo comasco Frontiere di Pace e la cooperazione sociale meridiana di Sale della Terra e Progetto Sud; ci sono intellettuali come Marianella Sclavi ed Alessandro Bergonzoni, attori come Daniela Poggi; e ci sono persone comuni, medici in pensione, docenti delle superiori, giovani in servizio civile…

Questi viaggiatori che vanno in direzione “contraria”, verso la guerra e non lontano da essa, sono davvero importanti per la causa della pace, per la causa ucraina, per la solidarietà internazionale, per l’Europa? Ovviamente noi crediamo di sì, altrimenti non avremmo mai intrapreso questa missione e non sarebbe mai nato il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta.

Ma la cosa che ci sorprende sempre, ogni volta di più, è che siano gli ucraini a dirci che una missione che può sembrare così “apparentemente inutile” sia, invece, attesissima dal loro popolo. Sergji sta organizzando con noi ogni minimo particolare, i vescovi locali sono nel gruppo di lavoro come i membri di una normalissima commissione pastorale, Juri sta organizzando gli spazi per la musica ed il rettore di una prestigiosa università ucraina, che ha chiesto di iscriversi al Mean, è a lavoro per l’organizzazione di una giornata di dialogo tra accademici che avverrà in presenza il tre ottobre, a pochi chilometri dal fronte. Nel frattempo, il comitato olimpico sta organizzando una giornata sportiva nelle metropolitane ucraine e il club degli scultori sogna di poter creare un atelier temporaneo in quei giorni, con il contributo di artisti europei che avranno aderito alla missione.

Ma perché lo fanno? Mica questo giubileo fermerà Putin ed i suoi droni? La risposta che mi do, osservandoli, è che la vita è un mistero di gran lunga superiore alla stupidità e banalità di un’aggressione militare.  Ci sono potenti, come il provetto Zar o il tremendo Bibi, che credono davvero di poter piegare la volontà dei popoli con la paura, il terrore, la fame, la violenza; come fece Erode, che deve aver pensato che uccidere i bimbi appena nati fosse un’idea geniale per mettersi al riparo dal proprio declino. Ma, dall’altra parte della loro barricata folle, ci sono le pieghe vere della storia, le donne e gli uomini di buona volontà, che resistono al male, che lo sbeffeggiano con la loro stessa esistenza quotidiana, che sanno già da che parte sta la verità ed attendono fiduciosi che avanzi come la pace. 

Per questo Gandhi parlava al popolo indiano, sottomesso, di satyagraha, la forza della verità, e non solo di ahimsa, di rinuncia alla violenza; perché la rinuncia alla vendetta ed alla violenza non è una soluzione, è solo un piccolo tassello di una Storia molto più complessa e ricca, in cui i popoli uniti contro la bugia dell’oppressore di turno fanno avanzare le loro ragioni, che sono superiori alla banalità del male.

Ci incontreremo alla frontiera polacca, in una cittadina piena di fiori che abbiamo imparato ad amare in queste quattordici missioni realizzate del Mean, Przemysl, da dove parte il lungo treno notturno per Kyiv. Faremo la fila insieme alle migliaia di cittadini ucraini transfrontalieri che hanno ormai solo quella ferrovia per muoversi nel loro Paese; abiteremo con loro i vagoni per interminabili ore di viaggio. Sono vagoni vecchio stampo, con scompartimenti fatti di quattro cuccette in cui si parla, ci si conosce, si discute con l’ausilio dei traduttori degli smartphone. Poi arriveremo nelle città di destinazione, che comunicheremo solo ai partecipanti per ragioni di sicurezza, e lì vivremo due giornate piene zeppe di incontri, di visite, di strette di mano e di abbracci. Pregheremo, canteremo, rideremo, perfino, insieme a quel popolo straordinario che mentre resiste non perde la sua umanità e dignità. Assaggeremo ancora le vareniki, i ravioli dolci o salati, ed il borsh, la zuppa tradizionale ucraina; resteremo ammaliati dalla vita che le città sprigionano nonostante tutto e diremo ancora una volta “eccoci, noi ci siamo”, siamo con voi nel dolore, vi vediamo, non siamo ciechi e con voi testimonieremo che la guerra non avrà l’ultima parola sul vostro e nostro desiderio di libertà.

È utile? Non lo sappiamo mai prima di partire, ma certamente sentiamo che è giusto, che è doveroso, che sarebbe sbagliato non averlo mai fatto. 

Perché non andate anche a Mosca o a Gaza? Ci dicono sempre. E noi come sempre risponderemo che vorremmo tanto andarci e che non è escluso che ci andremo; ma le cose vere vanno praticate oltre che dette e, se attraversare la frontiera polacca è possibile ed accessibile, non è detto che riusciremo a varcare quella egiziana o quella russa. Intanto andiamo in Ucraina, perché è possibile ed è doveroso, gli ucraini sono i nostri prossimi. Poi si potrà anche andare oltre, magari con lo stesso popolo ucraino che oggi condivide con noi la vocazione di essere Europa, il continente che ha nel nome la sua vocazione di “Ampia Visione”. 

Oggi partiamo perché non c’è motivo sufficiente per non farlo ancora una volta.

L’autore di questo articolo è portavoce del Mean

Foto di Marjan Blan su Unsplash

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