Idee Giovani
Neet: perché tanti interventi sociali vanno a vuoto
Difficoltà nell'intercettare i ragazzi e la frammentazione degli interventi sono fra le cause per basso impatto che gli interventi sociali a favore dei giovani che non studiano e non lavorano. Come uscire dall'angolo?

Chi si mette a ragionare e a documentarsi sul tema dei Neet[1] presto incrocia le tante problematiche che si rilevano, i sentieri che si intravvedono per uscirne, i soggetti coinvolti, i pezzi di società che se ne debbono far carico, le istituzioni pubbliche che hanno il dovere di occuparsene e infine il tempo che è servito e ancora servirà per trovare buone soluzioni. Non c’è istituzione che non se ne sia occupata.
Se nell’UE a 27paesi nel 2024 l’incidenza media dei Neet è pari all’11,2% (10,1 tra i ragazzi e 12,5% tra le ragazze), in Italia il dato sale al 16,1% e solo la Romania ci supera con un 19,3% (gli esempi più virtuosi sono la Svezia col 5,7% e i Paesi Bassi col 4,7%) (D’Amico T., “Neet in Europa e nel mondo”, InapPaper 50/2024). Non sorprende sapere che per più del 45% dei giovani italiani il giudizio sulla politica seguita in questo campo dal proprio Paese è negativo: in Francia e Germania è solo il 30% (Osservatorio Giovani 2022). Basterebbe questo per allertare il mondo politico, le istituzioni, le famiglie. Scuola, famiglia, mondo del lavoro e della formazione debbono potenziare e rendere complementare e sinergico il loro ruolo strategico, come ci ricordava anche Edoardo Patriarca su queste colonne a proposito del patto formativo educativo tra scuola e famiglia. Qui, però, i fattori e i soggetti rilevanti sono in numero molto più ampio, riguardando l’intera comunità.
È verosimile che non sempre nelle azioni promosse si siano centrati gli obiettivi indicati. Conviene quindi riservare qualche maggiore attenzione al tipo e alle caratteristiche di molti progetti avviati e conclusi nel nostro Paese, con la certezza che non riusciremo certo ad essere esaustivi.
Dove sono i soggetti destinatari?
Cominciamo col dire che vi sono spesso difficoltà nell’individuare i “soggetti destinatari”, ovvero i ragazzi su cui intervenire. Questi non sempre si palesano, occorre andare a cercarli e motivarli a rendersi disponibili. Avvisi, manifesti, spot televisivi e radiofonici, materiali informativi e promozionali non sono affatto sufficienti e hanno una forza di attrazione molto limitata. Più adeguati sembrano essere, oltre ai social media, i “punti di accesso diretto”, gli sportelli esistenti come gli “informagiovani”, gli uffici per il pubblico dei comuni, i centri per l’impiego, le sedi di associazioni private e pubbliche nel mondo del lavoro, della formazione professionale, sportelli interni al mondo della scuola e dell’università. Il personale deve essere preparato a interagire per catturare attenzione e fiducia e per far confluire la fase di approccio iniziale in un hub appositamente organizzato che seguirà i ragazzi individuati nel loro percorso di recupero del gusto del sapere, del valere, delle buone relazioni familiari, di gruppo e di comunità.

È probabile che la frammentazione/dispersione delle azioni, la monotematicità del focus progettuale e la esternalizzazione della gestione ne abbiano frenato l’efficacia. Certo progetti orientati a curare patologie psicologiche o psichiatriche oppure dedicati a ridurre l’abbandono scolastico[2], ad accrescere conoscenza e preparazione per l’accesso al mondo del lavoro (riduzione del mismatch) o della formazione professionale hanno molte ragioni per essere avviati e perseguiti con le professionalità e gli strumenti “di settore”. Sarebbe complicato e fuorviante unire in un solo progetto obiettivi così distinti dal punto di vista scientifico e tecnico-operativo. Ma se più progetti, in diversi settori, fossero emanazione della stessa “regìa” (vedi infra), potrebbero godere di economie di scala e anche di effetti “politici” amplificati sulla società.
La frammentazione degli interventi
In molte esperienze osservate, poi, la Pubblica Amministrazione ha esternalizzato, cioè ha pubblicato bandi con i quali ha affidato la realizzazione di progetti ed azioni al cosiddetto “privato sociale”, cooperative, enti e associazioni che si sono attivate fornendo proprio personale e strutture. Ciò è sicuramente funzionale ad un risparmio economico nel bilancio pubblico ed evita utilizzo di personale interno. L’intervento sul tema Neet, come molti altri, viene così frammentato per tipologia di ragazzo e per “causa” della condizione Neet, limitandosi, ad esempio, al problema dell’abbandono scolastico oppure alle difficoltà nel trovare una gradita occupazione e formazione professionale. Si perde quindi il valore complessivo politico-strategico dell’azione e della sua replicabilità. Decine di micro-azioni potrebbero, in altre parole, far perdere il senso complessivo dell’intervento. Migliori performance abbiamo infatti notato in esperienze dove, anche in caso di esternalizzazione, comunque la “direzione” rimane in mano a pochissimi funzionari pubblici di diversi settori amministrativi (es. assessorati) che lavorano in team con i referenti “privati”.
Come detto le cause della condizione Neet sarebbe bene fossero comunque integrate nell’ambito di progetti territoriali pubblici. L’abbandono scolastico, il mismatching fra domanda e offerta di lavoro e di formazione professionale, i problemi di ritiro sociale e dei disturbi psicologici dei ragazzi sono altrettanti comparti su cui intervenire, non trascurando che sono tutti rami dello stesso albero, organi dello stesso corpo da studiare e su cui agire tenendo anche conto delle interazioni e peculiarità degli stessi. Così fattori individuali e fattori di contesto si sommano e interagiscono (si veda il bel lavoro della Regione Emilia-Romagna “Giovani non occupati e non in istruzione e formazione” Osservatorio Giovani Ottobre 2024). Queste insufficienze debbono essere attenuate tenendo anche conto delle relazioni tra le cause. “Occorre migliorare la classificazione Neet utilizzando metodi clustering per individuare soluzioni diverse per le diverse categorie individuate” (Nial O’ Higgins, Napoli 2023).
Intervenire sulle comunità, non solo sugli individui
D’altra parte chi si vuole occupare di questa problematica deve ricordare che sta cercando di migliorare certo il “capitale umano” (il benessere e la qualità dei ragazzi coinvolti), ottenendo tuttavia nel contempo un miglioramento del “capitale sociale” della comunità, vale dire la qualità delle relazioni e del comportamento condiviso nella stessa. Rinunciare a questo obiettivo significa continuare a sprecare risorse, rinunciare all’apporto di persone in giovane età che spontaneamente non riescono a crescere con salute, dignità, soddisfazione e capacità di lavoro e di vita sociale.
I progetti multidisciplinari e multi-contestuali affrontano, così, il tema dell’abbandono scolastico, quello dell’orientamento al lavoro o alla formazione professionale e quello generale del ritiro sociale. Come già detto sfruttando le interrelazioni fra loro. Recenti attenzioni riguardano la vita attiva dei giovani a volte (con casi in grande crescita) sempre più rinchiusi in se stessi e destinati in alcuni casi a patologie comportamentali e a epidemie mentali adolescenziali, depressione, disturbi d’ansia, e così via (il pensiero va al recente successo di libri come “La generazione ansiosa” di J.Haidt, 2025).
Tutto parte dalla “testa” dei progetti. Sarebbe fondamentale partire da una attenta e attiva “cabina di regìa”, la rete delle Istituzioni coinvolte, una sorta di consiglio di amministrazione dove sono presenti le principali “autorità territoriali”. Segnatamente: sindaco e assessori delegati, presidente della Provincia, delegato della Regione, fondazioni, coordinamento Istituti scolastici, rappresentanti enti di formazione, associazioni giovanili, associazioni di impresa, servizi sanitari Ausl, università, Terzo settore. La cabina di regia è fondamentale, si riunisce quando è necessario intervenire sugli obiettivi principali o sui problemi irrisolvibili dai livelli operativi, consente la circolazione delle informazioni al livello più alto possibile con possibilità di interventi tempestivi e di rapida applicazione. Nella cabina di regìa si scambiano le informazioni rilevanti e le si rendono pubbliche nella misura più opportuna. Sorprendono casi in cui anche la circolazione di informazioni istituzionali (ad esempio tra gli istituti scolastici) abbia vita breve e scarsa diffusione. La durata dei progetti deve essere sufficiente per attecchire nel tessuto sociale interessato e garantire concretezza negli obiettivi e controlli sui risultati. Progetti di pochi o pochissimi anni di validità (spesso la durata è di 1-3 anni) non dispiegano la ricerca dei “casi” e quella attività in grado di permeare di novità positive l’intera comunità territoriale. Sono quindi auspicabili: un periodo di sviluppo dei progetti almeno di medio periodo (5 anni), team di intervento polifunzionali, territori interessati ampi con aree sviluppate e marginali, urbane e rurali, risultati monitorati e resi pubblici con frequenza.
L’autore di questo articolo è stato docente di Economia Politica presso l’università di Modena e Reggio Emilia e responsabile del Centro di Ricerche ed Indagini Socio-Economiche.
Foto di apertura di Tanya Prodaan su Unsplash
[1]Come noto i “NEET” (neither in employment, nor in education or training) sono, secondo l’Istat, i giovani 15-29enni che nella settimana di riferimento (del censimento) :
- non sono occupati (sono disoccupati o inattivi secondo la definizione International Labour Organization);
- non frequentano corsi regolari d’istruzione o di formazione professionale (formal learning) nelle quattro settimane che precedono l’intervista. Si fa riferimento esclusivamente all’istruzione scolastica/universitaria e ai corsi di formazione professionale regionali di durata uguale o maggiore a sei mesi che consentono di ottenere una qualifica e ai quali si accede solo se in possesso di un determinato titolo di studio.
[2] “L’abbandono scolastico cui faremo riferimento in seguito è l’interruzione da parte dei ragazzi “del proprio percorso di istruzione o formazione prima del completamento dell’istruzione secondaria di secondo grado o dell’istruzione e formazione professionale almeno triennale e comunque entro il compimento dei 18 anni d’età”(L.Reg. Veneto)”.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.