Idee Usa
Trump crea il Dipartimento della Guerra, ma non ha alcuna strategia
In una situazione internazionale che sta tornando delicatissima, la presidenza Usa sceglie parole arroganti e violente. Un pessimo segnale dietro cui non pare esserci alcuna visione, se non uno sfrenato narcisismo

«Il nome Dipartimento della Guerra è molto più appropriato. Abbiamo avuto un’incredibile storia di vittorie quando era il Dipartimento della Guerra». Con queste parole Donald Trump ha annunciato soddisfatto il cambio di nome da Dipartimento della Difesa a Dipartimento della Guerra. Un annuncio singolare per uomo che si candida al Nobel per la pace.
Quindi, in una stucchevole successione, il neo ministro della Guerra Pete Hegseth ha postato il video della sostituzione della targa sulla porta del suo ufficio che ora riporta luccicante Secretary of War, e Trump, poco dopo, mostrando il pugno di ferro contro i migranti nei territori a tradizionale maggioranza democratica, ha pubblicato sul suo social Truth un raccapricciante post che recita “mi piace l’odore delle deportazioni al mattino…. Chicago sta per scoprire perché si chiama Dipartimento della Guerra” corredato di una immagine fatta dall’intelligenza artificiale che raffigura lo stesso Trump in tenuta militare, i grattacieli di Chicago sullo sfondo e fiamme che si alzano verso un cielo pieno di elicotteri militari.
Come ricorda il New York Times, la decisione di eliminare la parola guerra e coniare il nome Dipartimento della Difesa venne presa nel 1949 dal Presidente Truman, quello che aveva autorizzato le bombe su Hiroshima e Nagasaki, mentre l’Unione Sovietica faceva scoppiare la sua prima bomba atomica e in Cina Mao Zedong proclamava la Repubblica Popolare Cinese. Era un tempo in cui il rischio di degenerazione bellica era altissimo, ma la Presidenza Usa preferì la via della deterrenza a quella del confronto muscolare, percorsa anche attraverso la scelta intenzionale delle parole.
In una situazione internazionale che sta tornando delicatissima, la presidenza Trump invece sceglie parole arroganti e violente. Hegseth ha dichiarato sicuro: «Andremo in attacco, non solo in difesa. Massima letalità, non tiepida legalità. Effetto violento, non politicamente corretto. Faremo crescere guerrieri, non solo difensori». Ma non ci sono solo le parole. Trump sta moltiplicando le azioni volte a “far paura”. A giugno ha fatto colpire le installazioni nucleari iraniane. La settimana scorsa ha ucciso 11 persone in un attacco militare a una nave venezuelana. Nei mesi scorsi ha smantellato Usaid, che da anni promuove cooperazione e sviluppo nel Sud del mondo. Contemporaneamente ha lanciato la guerra dei dazi.
Sono azioni che propongono l’immagine di una nazione e di un leader dalla mascella volitiva, che non deve chiedere mai. Un leader che sa e ottiene quello che vuole. Ma i risultati non sembrano andare nella direzione sperata. Molti Paesi tradizionalmente legati agli Usa cercano alleanze e protezione altrove, in particolare in Cina, come gli incontri di Tianjin e le celebrazioni a Pechino di inizio settembre hanno mostrato. E anche in casa non mancano perplessità, proprio in quell’esercito che Trump vorrebbe rendere più forte. In questi mesi è stata fortemente indebolita la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency, che previene le minacce degli hacker anche dall’estero, colpevole di aver indagato sulla sicurezza delle elezioni del 2020 senza trovare prove dei presunti brogli a favore di Biden. Ad aprile sei alti ufficiali della Sicurezza Nazionale sono stati licenziati, dopo un incontro di mezz’ora di Trump con Laura Loomer, una influencer di estrema destra, che li ha accusati di far parte del Deep State, il fantomatico potere che sarebbe monopolizzato dal partito democratico.
Anche gli alleati più stretti si interrogano sull’affidabilità di Washington. Ai Paesi Nato Trump ha detto di armarsi perché gli Usa non si esporranno più come prima. Sull’Ucraina ha organizzato un bilaterale con Putin che è servito solo a far uscire dall’isolamento il presidente russo, che nei giorni successivi lo ha ridicolizzato smentendo ogni impegno.
Siamo di fronte ad un presidente Usa difficilmente interpretabile, che sembra guidato più da un incontenibile narcisismo che da rigorose analisi e strategie. È un narcisismo che caratterizza anche altri leader mondiali. Il dialogo sull’immortalità di Xi Jinping, Putin e Kim, colta dai microfoni a Pechino, in fondo rivela lo stesso desiderio di onnipotenza che si irrita per ogni limite che incontra.
C’è di che essere seriamente preoccupati, sia per l’attacco alla democrazia, che richiede bilanciamento dei poteri con pesi e contrappesi, proprio quelli che Trump disprezza e Putin, Kim e Xi hanno eliminato dai loro Paesi, sia per la deriva violenta e bellica verso cui gradualmente stiamo degenerando. Mentre scriviamo queste righe Israele ha bombardato in Qatar il palazzo che ospita i dialoghi per il cessate il fuoco. Non era mai successo nella storia che si sparasse sulle delegazioni dei negoziatori e dei mediatori. Un pessimo segnale per il futuro.
Foto La Presse: il presidente Donald Trump e il segretario della Guerra Pete Hegseth
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