Riccardo De Facci è il responsabile dipendenze del Cnca – Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza.Vita: Come giudica il boom dell’affido terapeutico?
Riccardo De Facci: È un dato positivo. Finalmente si sta arrivando all’uso dei farmaci in una logica più integrativa della cura, non sostitutiva: non sono mai la soluzione, piuttosto un grande supporto per alcuni, un rallentamento per altri. Quello che entra in gioco in ogni singolo caso è l’insieme degli aspetti relazionali, e potersi somministrare direttamente le cure senza recarsi ai Sert aiuta in questo senso.
Vita: Non c’è una ricaduta in negativo sul numero di persone che si rivolgono alle comunità terapeutiche?
De Facci: Al contrario, negli ultimi anni sono aumentate le richieste di tossicodipendenti che beneficiano dell’affido e che, a un certo punto del loro percorso di riabilitazione, reputano che il passo successivo sia quello di entrare in una comunità. Da uno studio che abbiamo portato a termine nel 2008 è emerso già allora che il 40% dei nuovi contatti delle comunità terapeutiche riguardava proprio persone in affido.
Vita: Una volta entrati in comunità smettono con la somministrazione “fai da te”?
De Facci: Gradualmente. Alcuni continuano per sei mesi o anche un anno. Si tratta di una somministrazione senza rischi perché non iniettiva, e risulta essere un buon stabilizzatore durante la prima parte del percorso comunitario.
Vita: Quindi nessuna controindicazione?
De Facci: Naturalmente nei casi più duri questo strumento non ha molta utilità perché la persona non è pronta al cambiamento. Per il resto, nessuna obiezione, anzi, mi sbilancio: l’affido terapeutico esiste da più di 15 anni, a questo punto dovrebbero parteciparvi anche i medici di base, in una visione della tossicodipendenza più vicina a una malattia piuttosto che a una devianza.
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