Non profit

Il biglietto da visita delle associazioni

Migliorare il marchio

di Redazione

È importante però fare una premessa. Come capita anche in tante aziende profit, anche nelle organizzazioni non profit il marchio è stato spesso ideato dal fondatore ed è a volte circondato da un’aura di intoccabilità che lo fa assomigliare più ad un simbolo da venerare che ad uno strumento di comunicazione. Inutile dire che se non si superano questi tabù non è possibile fare quasi nulla. Ma veniamo alla nostra check list.

Il primo passaggio riguarda il nome dell’organizzazione: è il più adeguato? Cosa comunica? Si può migliorare? Un buon nome deve identificare in modo chiaro l’organizzazione, deve comunicare nel modo più efficace possibile la causa alla quale si dedica e infine deve essere il più attrattivo possibile per i pubblici a cui si rivolge. Secondo questi criteri possiamo considerare efficaci nomi come Save the Children, Fondazione Aiutare i bambini, Amnesty International, Greenpeace, mentre ovviamente sono da considerare molto meno efficaci gli acronimi come ad esempio AiBi, Amref, Aima. Il passaggio da un nome ad un altro, se ben gestito, è molto meno drammatico di quello che potrebbe sembrare e può portare ad un notevole incremento di efficacia nella comunicazione.

Un secondo punto chiave per l’analisi è il pay-off, cioè la piccola frase che sta sotto al marchio e che, nel mondo non profit, dovrebbe avere il compito di sintetizzare la causa a cui si dedica la vostra organizzazione e, se possibile, lo stile con cui intende perseguire tale causa. Un buon pay-off gioca un ruolo molto importante nell’efficacia della comunicazione, per cui vale la pena valutare se quello attuale può essere migliorato o di crearne uno nel caso che ancora non lo abbiate definito. Buoni esempi possono essere «miglioriamo il mondo, insieme» di Coopi o «for a living planet» di WWF.

Per quanto riguarda il marchio vero e proprio, cioè l’elemento grafico che compare nel logo dell’organizzazione, l’esperienza dice che spesso i margini di miglioramento non mancano. Un buon marchio è essenziale, simbolico, originale, facilmente riconoscibile. È importante evitare di essere banali, utilizzando simboli inflazionati – come, per esempio, il mondo, l’alloro, l’albero, la mano? – a meno che non siano trattati con uno stile fortemente caratterizzato. Altra buona norma è preferire elementi grafici bidimensionali alla tridimensionalità, che spesso fa perdere incisività. Quasi sempre migliorare il marchio della propria organizzazione significherà semplificare, stilizzare, togliere, guardando come meta ideale ad esempi riusciti come il panda del WWF, la “E” di Emergency o la candela col filo spinato di Amnesty International.

Rimane da analizzare un altro elemento molto importante: il colore. Per quanto riguarda il colore, è importante tenere conto degli effetti psicologici anche inconsci che esercitano i diversi colori, ognuno dei quali comunica una gamma di emozioni diverse. Qualche esempio: giallo per la felicità, arancio per l’entusiasmo, rosso per l’eccitazione, viola per il livore, blu scuro per il pathos, verde per il relax? Non si deve mai sottovalutare il tono emotivo di un colore: esso è predominante su quanto è esplicitamente comunicato attraverso i concetti.

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