Se tutto va bene, tra meno di due anni l’Italia vanterà un primato come minimo europeo: il primo impianto in grado di produrre bioetanolo senza un euro di incentivo pubblico, ma a costi compatibili con il barile di petrolio a 70 dollari.
A scommettere sul carburante di origine vegetale è il gruppo Mossi e Ghisolfi, multinazionale che è cresciuta con il polietilene a Rivalta Scrivia e che da sempre investe moltissimo in ricerca e sviluppo. Passata l’era dei massicci investimenti pubblici, la parola è passata alle ricerche di alto livello. All’M&G hanno sviluppato un approccio un po’ meno avveniristico, ma più efficace: partire dalla comune canna mediterranea che cresce naturalmente sui terreni marginali o incolti, non ha bisogno di fertilizzanti, e necessita di meno di un quarto dell’acqua necessaria al mais.
La biomassa viene poi bollita con forti sbalzi di pressione, che servono a staccare i polimeri cellulosici dalle fibre di lignina e se ne ricava da un lato una massa di lignina, che ha un potere calorifico superiore al legno comune, e dall’altro una birra scura che poi viene distillata in etanolo.
Grazie agli accordi con gli agricoltori del Vercellese, che stanno seminando a canne i 4mila ettari di loro terreni marginali, spesso intorno alle risaie, lo stabilimento pilota di Crescentino sarà presto in grado di produrre 40mila tonnellate/anno di etanolo, in grado di alimentare quasi 7mila auto.
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