Giornata internazionale della famiglia

Il ceto medio sprofonda: il 10% delle famiglie scivola verso la povertà

Un'indagine Iref Acli basata sulle ultime cinque dichiarazioni dei redditi, presentate al Caf da circa 550mila nuclei familiari, parla di un gap che si sta estendendo sempre più. Il rischio è che alcuni pilastri fondamentali, come la salute, non siano più un diritto ma una scelta

di Redazione

«Il ceto medio si sta sgretolando». In tanti, da anni, se ne sono resi conto. Ora l’ennesima conferma arriva da una ricerca Iref Acli sui dati forniti dal Caf in base alle ultime cinque dichiarazioni dei redditi. Non lasciano molto spazio ai dubbi: c’è uno scivolamento del ceto medio, ben il 10% (e quindi di coloro che hanno anche un lavoro) verso la povertà. Le prime evidenze dell’indagine “Sempre meno ceto medio”, dedicata al reddito delle famiglie italiane sulla base di dati rigorosamente anonimi forniti dal Caf di circa 550mila nuclei familiari riferiti al periodo 2020-2024, parlano chiaro.

«La crisi non solo ha eroso i redditi, ma ha anche allargato la forbice tra le aree del Paese e tra le fasce sociali», spiega una nota diffusa da Iref Acli. «Rischiamo che alcuni pilastri fondamentali del nostro Stato, come la salute, non siano più un diritto ma una scelta. Servono politiche strutturali che riescano ad aumentare il valore reale dei salari, e poi bisogna garantire tutela dell’esercizio dei diritti fondamentali».

Lo studio mette in luce le crescenti disuguaglianze territoriali e la contrazione della fascia intermedia della popolazione. «Con un dato unico, il Panel redditi Acli (Pra) che abbiamo costruito in questi anni, con la pandemia ancora in corso, segue oltre 549mila famiglie italiane, parliamo di numeri veri e non di campioni, con un raffronto reale lungo cinque anni fiscali che ci offrono davvero una delle immagini più dettagliate disponibili sullo stato dei redditi reali nel nostro Paese», sottolinea Lidia Borzì, delegata per la Famiglia e gli stili di vita delle Acli nazionali. «Questo impoverimento del ceto medico rischia anche di influenzare i dati già drammatici, sulla denatalità».

La ricerca ha messo in evidenza una serie di diseguaglianze e di squilibri che si sono accentuati negli ultimi anni. Le famiglie residenti nelle grandi città dichiarano redditi medi superiori del 17% rispetto a quelle delle aree interne. Il gap può arrivare a oltre 9.000 euro annui tra i nuclei familiari più ricchi a seconda dell’area geografica. Quindi, anche considerando differenti composizioni familiari, con diversi livelli di impegno nel mercato del lavoro e carichi non si appiana il gap reddituale tra città e territori marginali. L’unica comunanza che si riscontra è nei redditi molto bassi, rispetto ai quali la geografia non fa purtroppo grande differenza.

La spesa sanitaria riflette chiaramente le disuguaglianze: le famiglie più ricche spendono in media fino a quattro volte di più rispetto a quelle povere. Le detrazioni per spese sanitarie sono altamente correlate al reddito, evidenziando il rischio che la salute da diritto universale diventi un privilegio.

L’aver a disposizione dei dati panel, riferiti alle stesse famiglie in periodi diversi permette di quantificare in modo preciso la consistenza del ceto medio, nonché le dinamiche di impoverimento che sembrano caratterizzare questo segmento socioeconomico. Tra il 2020 e il 2024, la percentuale di famiglie appartenenti al ceto medio (reddito tra il 70% e il 200% del reddito mediano) è scesa dal 59,6% al 54,9%. In particolare, oltre 55mila famiglie sono passate dal ceto medio al ceto inferiore. In sostanza il 10% delle famiglie del panel è passata dal ceto medio al ceto inferiore mentre solo lo 0,8% è riuscito a salire al ceto superiore.

«La ricerca ci restituisce una fotografia inedita e preoccupante e conferma come il ceto medio sia sempre più fragile, stretto tra difficoltà economiche persistenti e scarse opportunità di mobilità ascendente», afferma il direttore dell’Iref, Gianfranco Zucca.

Credit: la foto è di Mathieu Stern su Unsplash

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