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Economia & Impresa sociale 

Il cuore del mio Nicaragua

«Siamo come Sisifo: ogni volta che riportiamo la pietra in cima alla montagna, questa cade di nuovo . Ma la gente è meglio dei politici che la governano»

di Sergio Ramirez

Sergio Ramírez fu vicepresidente del Nicaragua dal 1979 al 1990, durante il governo sandinista. Politico e scrittore molto apprezzato, è un intellettuale onesto. Nel 1990, quando il Paese votò contro il governo rivoluzionario sandinista, fu fra i primi a riconoscere gli errori che causarono la sconfitta elettorale, primo fra tutti la guerra fratricida che aveva diviso il Nicaragua fra i sostenitori della rivoluzione e i contras, i guerriglieri antisandinisti. Quando è uscito il sole, dopo la catastrofe che ha devastato il Nicaragua, ci siamo resi conto che le lancette della storia ci hanno riportato indietro di decenni. Decenni costellati da altri uragani, carestie, eruzioni vulcaniche, guerre, maremoti e terremoti. Negli ultimi vent?anni, da quando cioè il terremoto del 1972 ha distrutto Managua, abbiamo fatto come Sisifo. Come lui, ogni volta che siamo riusciti a portare una pietra in cima alla montagna, ci è scivolata dalle mani ed è caduta giù di nuovo verso l?abisso, e come lui ogni volta abbiamo dovuto reiniziare da capo. Ma forse non è solo questione degli ultimi vent?anni, forse lo facciamo da sempre. Su e giù dalla montagna, dalle prime eruzioni, i primi esodi, le prime guerre fratricide, le prime alluvioni. Ma non abbiamo mai perso la speranza e soprattutto non abbiamo mai smesso di pensare che gli uomini, con il loro dolore, sono più importanti di qualsiasi calcolo economico o qualsiasi ambizione politica. In un Paese piccolo come il nostro non c?è catastrofe che non danneggi l?intera vita sociale e, di conseguenza, che non susciti un immediato senso di solidarietà in tutto il Paese. La disgrazia ci fa diventare una sola famiglia e addirittura i più poveri appaiono sullo schermo televisivo mentre si tolgono l?ultimo pugno di riso per darlo a chi ne ha più bisogno di loro. Si trattta del nostro spirito di pietà, compassione e solidarietà che nessuna tragedia né nessuna guerra sono mai riusciti a distruggere. Siamo un Paese che offre solidarietà senza calcolo, senza secondi fini, ma siamo anche un popolo saggio, capace di farsi un?idea sugli avvenimenti e sulla condotta dei nostri governanti. In questi momenti di emergenza, il cittadino comune nicaraguense spera che essi si comportino come lui, senza ambiguità. E mentre corre fuori ad aiutare il proprio fratello, aguzza l?ingegno e il giudizio, si prepara a difendersi da chi lo inganna. Una capacità, questa, che il nicaraguense ha appreso durante decine di campagne elettorali davanti a mille promesse astratte avvolte in bandiere di diversi colori. Così, quando i fiumi sono straripati e le case sono strappate dal suolo e il fango seppellisce migliaia di persone; quando ci sono persone da salvare, da assistere, da curare, nutrire, niente è astratto. Il cittadino comune non accetta false promesse, né crede alle bugie. Chiede al governo di comportarsi come lui si comporta con il suo prossimo, con decisione e rapidità; con affetto e solidarietà. E se vede, come è successo, che il governo non vuole riconoscere la vastità della tragedia, se vede che cerca di minimizzare la catastrofe e sente i funzionari pubblici dire che bisogna aspettare il satellite per fotografare i danni fatti da Mitch, si sente indignato. E se i funzionari arrivano a dire che il Paese non ha bisogno di aiuti umanitari perché in Nicaragua c?è abbastanza cibo per tutti, si sente ancora più indignato. E se poi vede che il governo, in nome di un nazionalismo puerile o di una diffidenza ideologica, cerca di fermare le associazioni e organizzazioni non governative che vogliono aiutarci, si infuria. Il cittadino comune non vuole più campagne elettorali, ma assunzione di responsabilità. Mi ha commosso vedere il presidente della repubblica di Honduras, Flores Facusse, durante il suo messaggio alla nazione. Mi ha stupito la sua umiltà mentre chiedeva aiuto per il Paese, la sua onestà verso i cittadini mentre diceva che lasciava l?orgoglio in disparte per tendere le mani e chiedere aiuto alla comunità internazionale. Il suo rispetto per la sofferenza degli honduregni e la nostra arroganza politica. Il nostro presidente, Arnoldo Aleman, e i suoi ministri, vedono complotti ovunque, anche davanti alle proteste dei cittadini e della società civile che chiede solo di rimboccarsi le maniche per riportare la pietra in cima alla montagna. Invece il nostro presidente dovrebbe capire che noi nicaraguensi, davanti a una tragedia di queste proporzioni, forse la più grande della nostra storia, ci sentiamo disperati, impotenti, sconsolati.Così chi pensava di aver perso ormai tutto si è reso conto che la loro discesa verso l?abisso non è ancora finita. Coloro che sono stati eletti per governare devono dimostrare con atti concreti che stanno dalla parte dei nicaraguensi. Davanti a questa catastrofe le cui conseguenze non sono ancora palpabili, il Paese deve rimanere unito e il nostro presidente dimostrare di essere un buon presidente, lasciando da parte rancori, antipatie, amarezze e pregiudizi. Magari unendosi al presidente dell?Honduras per chiedere ai Paesi Occidentali (a Banca Mondiale, a Fondo monetario internazionale e a singoli governi) di condonarci i debiti accumulati in questi anni. E permettendo a noi nicaraguensi, cittadini comuni, di risalire, tutti insieme, il pendio della montagna.


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