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Education & Scuola

Il fantasma di sostegno

L’ultima Finanziaria ha innalzato il rapporto professori/portatori di handicap.Ed è caduto anche il limite di venti alunni per classe per ogni ragazzo con difficoltà. Con conseguenze drammatiche.

di Giacomo Ratti

Telefonate di lettori allarmati, fax di genitori preoccupati, lettere di insegnanti indignati. A giudicare dall?ondata di commenti e richieste di chiarimenti giunti in redazione nelle ultime settimane, la scuola italiana evidentemente non era già abbastanza nell?occhio del ciclone per le polemiche su parità scolastica e autonomia, scuola pubblica e scuola privata, professori picchiati e presidi omertosi. E così ora è scoppiato anche il caso dei disabili lasciati senza insegnanti. Ormai siamo al tutti contro tutti: mamme di ragazzi handicappati contro insegnanti, docenti di ruolo contro docenti di sostegno, associazioni contro presidi, presidi contro provveditori… E tutti, indistintamente, contro il ministero della Pubblica istruzione. La partita si sta giocando sulla pelle di scolari e studenti portatori di handicap. Quelli che a ogni finanziaria risultano sempre più penalizzati. Anche se al peggio non pare esserci limite. Come provano le odierne diatribe sui tagli agli insegnanti di sostegno: che già non bastavano mai e che adesso sembrano ancora meno di prima. L?ultima finanziaria ha infatti innalzato il rapporto insegnanti di sostegno/portatori di handicap, che non va più calcolato in base al numero di questi ultimi, ma alla popolazione scolastica complessiva (un docente ogni 138 alunni). Mentre è caduto anche il limite massimo di venti alunni per classe che era precedentemente previsto in presenza di almeno uno scolaro portatore di handicap. E così – al grido di ?risparmiare prima di tutto!? – sono sempre più numerosi i casi di scuole in cui il docente che si occupava di allievi svantaggiati viene destinato ?d?ufficio? (o d?imperio) dal preside a occuparsi di una classe regolare. Lasciando senza ausilio chi, non solo per senso di umanità ma anche a termini di legge, ne avrebbe ogni diritto. E che, quando gli va bene, si trova con le ore di sostegno drasticamente diminuite. Meglio Berlinguer o la Falcucci? Dalle Alpi all?Etna è ormai un coro unico di protesta: da parte dei genitori costretti a lasciare a casa da scuola i loro figli disabili e da parte degli insegnanti costretti a lavorare di più, peggio e in mansioni che non sono, o dovrebbero essere, le loro. Sotto accusa, dunque, la politica del governo per l?integrazione dei bimbi handicappati nelle scuole. Ed è un paradosso che quella che per molti è la mala pianta dell?emarginazione del disabile germogli proprio sotto le fronde dell?Ulivo, nell?era dei governi di sinistra. E pensare, commenta il genovese Roberto Bottaro, della Consulta provinciale per l?handicap, che «gli insegnanti di sostegno sono stati inaugurati dalla Falcucci, ministro della Pubblica istruzione conservatrice e democristiana, mentre sono invece drasticamente ridotti dal progressista Berlinguer». Così i sit-in di protesta si moltiplicano, davanti al ministero della Pubblica istruzione o sotto le finestre dei vari provveditorati. Sempre a Genova, le mamme sono andate a urlare e a piangere, disperate, in Regione, in Comune, in Provveditorato, dovunque potevano sperare di far sentire le loro voci. Voci che ripetevano appelli come questi: «La mia bambina, alla scuola Anna Frank, aveva diritto a sei ore di sostegno e adesso ne fa solo due, che non servono a niente!» «Il mio bambino è affidato a un bidello che se lo trascina per i corridoi, senza sapere che cosa fare. Se il ministero non vuole riqualificare gli insegnanti, allora qualifichi almeno i bidelli!» Identico scenario nella capitale, dove il mese scorso centinaia di genitori e di insegnanti precari hanno manifestato fianco a fianco davanti al ministero, gli uni e gli altri ugualmente esasperati e concordi nel rivendicare un maggior numero di insegnanti di sostegno. Solo a Roma e provincia gli scolari handicappati sono 9803 (671 alla materna, 4206 alle elementari, 3415 alle medie, 1511 alle superiori). Ragazzi in sedia a rotelle come Stefano Remigi, che frequenta una scuola media, la Tibullo all?Appio Latino, priva di ascensore per andare in palestra, e dove l?Aec (?Assistente educativo culturale?) si rifiuta di portarlo giù «perché è pericoloso fargli scendere le scale». Piccolini come i cinque bimbetti disabili (fra cui Sonia, che a quattro anni ancora non cammina e che ha la madre disoccupata e il fratello in carcere) iscritti alla materna di Torrespaccata: essendo disponibile un solo ?sostegno?, sono stati messi tutti assieme in un?unica classe. Bambini come Alessandro (altro nome fittizio – ndr), otto anni, affetto da grave ritardo psicomotorio, che non solo ogni anno si vede cambiare il suo insegnante di sostegno alla elementare ?Lombardo Radice? di Dragoncello, ma che quest?anno a due mesi dall?inizio delle lezioni non ha ancora neppure visto quello nuovo. Come accade a tantissimi altri casi analoghi in tutta la penisola: docenti di sostegno che cambiano, che vengono trasferiti, che non vengono nominati. E i ragazzini sono abbandonati a se stessi, condannati a vedere aumentato il distacco dai loro compagni. Le logiche dei provveditori E i provveditori, longa manus di Berlinguer, come giustificano tagli così apparentemente inumani? Dall?Etna alle Alpi, la parola d?ordine è una sola: ?integrazione?. «Quella del ?più sostegno c?è meglio è? è una logica sbagliata. Il rapporto di uno a uno che molti pretenderebbero non risponde alla logica dell?integrazione. la scuola tutta deve fare la sua parte», replica il provveditore agli studi di Roma, Paolo Norcia. «Un handicappato non deve essere affidato solo all?insegnante di sostegno, ma di tutti i docenti: l?integrazione passa da una riqualificazione comune», aggiunge il collega di Genova, Gaetano Cuozzo. Ragioni che non riescono a convincere chi il dramma dell?handicap lo vive ogni giorno sulla propria pelle. La presidentessa dell?Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare (Uildm), Ileana Argentin, ci racconta per esempio la storia di Marico Zedda, un robusto ragazzone 18 anni e affetto dalla gravissima distrofia di Douchenne. Superata senza difficoltà la scuola dell?obbligo, si iscrive al liceo e qui iniziano i problemi: il ragazzo deve lottare perfino per il ?diritto alla pipì?. A causa della malattia e del suo forte peso, ha infatti bisogno di essere accompagnato in ogni spostamento da un laboratorio all?altro, in bagno, quando deve scendere e salire le scale di una scuola dove abbondano le barriere architettoniche e mancano completamente gli Aec, cui spetta aiutare i ragazzi negli spostamenti tra un?aula e l?altra. E così Marico ha dovuto stare a casa per lunghi periodi rischiando di superare il numero massimo di assenze scolastiche concesse dal ministero. Per risolvere la situazione e ?reclutare? braccia forti, è intervenuta la Uildm che ha trovato dei giovani volontari e ha chiesto al Comune di pagare loro un minimo di rimborso spese. «Ma non è così, con il lavoro ?nero? o rattoppi di fortuna, che si risolvono i problemi degli studenti disabili», afferma la Argentin. «Anch?io sono affetta da handicap», dice, «ma fino a quando non verranno riconosciuti i diritti di chi lavora con gli handicappati (per esempio con regolari assunzioni e pensioni) non c?è speranza che vengano rispettati i nostri». «All?asilo non disegnava più» Certo che se l?emarginazione comincia fin dall?asilo, c?è poco da sperare per il futuro. Come parrebbe dimostrare la storia di Matteo, bambino down di 5 anni, iscritto a un asilo comunale di Milano. Durante l?inverno scorso Matteo aveva improvvisamente smesso di disegnare. Poi durante le vacanze estive aveva ricominciato, consegnando alla mamma cinque fogli al giorno. «Non solo», aggiunge la signora. «A casa Matteo contava e leggeva, riconosceva numeri e parole. All?asilo invece no». Matteo non ha mai avuto grossi problemi, ha sempre comunicato con gli altri bambini e i loro genitori. Il primo impatto, anche all?asilo, era stato positivo. Ma poi le cose cambiano: quando la mamma lo va a prendere, trova sempre Matteo seduto in angolo, che si succhia il pollice e non viene coinvolto nelle attività di gruppo. Apprende più lentamente degli altri, ma le maestre non fanno nulla. Diversamente da quanto fanno con i compagni, a Matteo non scrivono neppure il nome sul foglio da disegno. Fino a quando i genitori non intervengono. Secondo la mamma, che ha esperienze da educatrice, le maestre trascurano anche altri ragazzi che, pur non essendo portatori di handicap, hanno qualche difficoltà di apprendimento. «Basterebbe un po? più di entusiasmo da parte delle maestre, se coinvolgessero di più i bambini facendoli sentire a proprio agio, forse non si rifiuterebbero di fare all?asilo ciò che si divertono a fare a casa», commenta con un po? di amarezza la mamma di Matteo. Spostiamoci più a sud, in Basilicata, dove all?associazione Dumbo di Matera ci raccontano la storia di un bambino autistico, che chiameremo Paolo, 17 anni, iscritto al secondo anno di un istituto di agraria. «Durante il primo anno di scuola superiore Paolo aveva fatto grossi progressi. Era a livello dei compagni in educazione fisica e in molte attività di laboratorio. Ora è tornato indietro. Ha bisogno di aiuto anche per espletare le più semplici funzioni fisiologiche nelle quali era da tempo indipendente. E i passi indietro derivano dalla mancanza di un insegnante di sostegno. Quello dell?anno scorso, un supplente, a settembre non è stato riconfermato. E al suo posto sono arrivati degli insegnanti ?riqualificati? dal ministero come insegnanti di sostegno con un corso intensivo di poche settimane. Persone così incapaci di trattare con ragazzi portatori di patologie specifiche, da essere quasi subito allontanate». Ma intanto non c?è ancora un sostituto, e Paolo, che dovrebbe fare 18 ore si sostegno alla asettimana, dall?inizio della scuola non ne ha fatta nemmeno una. In lui crescono tensione, nervosismo e insicurezza, cose che per un soggetto autistico significano un annientamento di progressi di anni. Ad aiutarlo, per le funzioni fisiologiche c?è solo una volontaria ?reclutata? dal Comune. «Finché gli assistenti continuano a cambiare e i programmi speciali vengono interrotti», racconta il padre di Paolo, «i nostri ragazzi non riusciranno veramente a integrarsi e a ?migliorare?. Il punto è qui ci si preoccupa tanto di garantire i diritti dei lavoratori senza certificare che siano in grado di svolgere il compito a loro assegnato. Disabili due volte Infine torniamo a Roma, dove Jacopo Lilli, non vedente, frequenta la seconda media presso l?istituto Di Stefano. Racconta la sua mamma: «In maggio ho fatto richiesta per la traduzione in Braille dei libri su cui mio figlio avrebbe dovuto studiare quest?anno. È l?inizio di novembre e non sono ancora arrivati, mentre Comune e Provveditorato si rimbalzano le responsabilità ammettendo di non aver neppure iniziato la traduzione. Speriamo che non finisca come l?anno scorso, quando i libri in Braille sono arrivati a febbraio». Oggi Jacopo studia solo grazie a insegnanti di sostegno in gamba e ai suoi genitori. Che ogni sera, a turno, gli leggono e spiegano i libri di testo. «Lo studio dovrebbe essere un diritto per tutti», aggiunge indignata la signora Lilli, che ci chiede di gridare a gran voce l?ingiustizia cui è sottoposto suo figlio. Jacopo è abituato a non poter studiare sui libri come i suoi compagni, ma alle medie il problema è ben più serio che alle elementari. E i suoi genitori pagano gli stessi libri due volte. Così come sempre più gli studenti disabili finiscono con l?essere doppiamente portatori di handicap, finiscono con l?essere ?disabili due volte?. Oltre al peso di una condizione menomata fisicamente o psichicamente, infatti, devono subire anche il peso di un trattamento di serie B. Anche per loro, insomma, è il momento di pretendere una vera, diffusa, completa ?parità scolastica?.


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