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Il Gran Sasso non vuole il terzo buco

Grandi opere. Un altro traforo in Abruzzo? Le associazioni ambientaliste, Wwf in testa, sono insorte

di Piergiorgio Greco

La storia della perforazione del Gran Sasso è una storia di tentativi (a volte riusciti) di intervenire sulla natura, rischiando, al tempo stesso, di mettere in pericolo l?uomo. Una vicenda iniziata nel lontano 1969 e che potrebbe avere un epilogo ai nostri giorni: non sono bastati due trafori a provocare un dissesto idrogeologico al ?gigante che dorme?. Un terzo tunnel è in programma già da undici anni, opera che, grazie alla burocrazia, al ciclone Tangentopoli e a un vistoso crescendo di polemiche, è rimasta nel cassetto fino a quest?anno. Se non fosse che il neoministro per le Infrastrutture e i trasporti, Pietro Lunardi, sostenuto dalla giunta regionale di centrodestra guidata da Giovanni Pace, ha voluto riaprire quel cassetto inserendo il terzo traforo tra le «opere da sbloccare urgentemente» e riattizzando, allo stesso tempo, le antiche diatribe. Ma provocando anche la vivace reazione della società civile abruzzese. Una montagna vitale Il Gran Sasso è una montagna vitale per buona parte dell?Abruzzo: l?acqua che nasce dalle sue viscere, infatti, alimenta gran parte degli acquedotti delle province di Teramo, L?Aquila e Pescara. Ebbene, i lavori iniziati nel 1969 per la realizzazione dei due trafori si sono conclusi solo nel 1987 e hanno provocato la perdita di grandi quantità d?acqua, abbassando la falda acquifera di 600 metri. A lavori iniziati, poi, si è approfittato per ricavare all?interno del massiccio tre enormi sale che ospitano tuttora i laboratori sotterranei dell?Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). «Sin dalla loro nascita», afferma Dante Caserta, del Wwf Abruzzo, «gli esperimenti realizzati in queste camere sono rimasti avvolti da un certo mistero. Dalle informazioni diffuse solo recentemente sul sito Internet dell?Infn, si è saputo che varie sostanze chimiche sono impiegate in questi esperimenti, non ultimo il cloruro di gallio (GaCl3), un composto incluso nell?elenco delle ?sostanze estremamente rischiose? stilato dall?Epa (l?Agenzia federale per l?ambiente degli Stati Uniti, ndr)?. Quanto cloruro di gallio si trova all?interno dei laboratori? Caserta replica sconsolato: «Circa 30 tonnellate. In caso d?incidente, questa sostanza confluirebbe nelle falde acquifere del Gran Sasso, per giungere in breve tempo nel Mare Adriatico. Un disastro ambientale, come si vede, dalle proporzioni incalcolabili». Ma dai laboratori (vedi box a lato) si affrettano a smentire seccamente: «Sono state prese tutte le precauzioni necessarie per evitare catastrofi ecologiche di tale portata». Il desiderio di vederci chiaro, insomma, ha fatto sì che la società civile abruzzese si organizzasse. Di fronte all?idea della realizzazione di un terzo traforo sul versante aquilano, tunnel riservato solo a quanti lavorano nei laboratori («il cui unico scopo» secondo i responsabili dell?Infn «è la sicurezza. In caso d?incidente, infatti, il raggiungimento dell?uscita sarebbe sicuramente più veloce») e dell?ampliamento dei laboratori stessi, nel 1991 si è costituito un variegato Comitato per la tutela delle acque del Gran Sasso al quale hanno tempestivamente aderito 12 soggetti (Wwf Abruzzo, Legambiente, Italia nostra, Club alpino italiano, Mountain wilderness, Pro natura, Lipu, Mare vivo, Greenpeace, Amici della terra, Società italiana di geologia ambientale, Istituto nazionale per la forestazione ambientale). Ma sono sorti immediatamente anche secolari campanilismi abruzzesi: sul versante aquilano, sul quale si affaccerebbe il tunnel e che trarrebbe dei benefici dall?iniziativa, si sono avute dichiarazioni favorevoli al terzo traforo, mentre su quello teramano, che si è visto in qualche modo escluso, si sono innalzate le barricate. Il Comitato ha preso forma un anno dopo che lo Stato, tramite la legge 366 del 1990, decideva di finanziare il progetto, scavalcando di fatto una pur necessaria consultazione degli enti locali. Neppure l?istituzione, nel 1991, del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (un ente tra i cui compiti c?è quello di concedere le autorizzazioni per ?manomettere? il territorio, autorizzazioni che, ovviamente, non sono mai state date) è servita a dissuadere da simili intenti. Anche perché, nel 1992, la Valutazione d?impatto ambientale (Via), che a molti è sembrata piuttosto frettolosa, ha rafforzato le tesi a favore della nuova galleria. L?allarme degli esperti L?anno scorso, allarmato dalla ripresa di strani ?movimenti?, il Comitato ha affidato alla Società italiana di geologia ambientale l?organizzazione di un convegno scientifico sul terzo traforo. Degna di nota la conclusione dei lavori, anche perché sottoscritta da sette professori universitari: «gli interventi progettati interferiranno sicuramente (?) con l?attuale locale assetto idrogeologico e comporteranno di conseguenza un ulteriore, significativo, abbattimento dei livelli idrici dell?acquifero». Il 2001, da ultimo, si sta rivelando l?anno della fantasia nelle manifestazioni indette dal Comitato: prima a Teramo, poi a Pescara e in altri centri minori, ben 1.500 metri di tela sono stati riempiti da disegni fatti da passanti, bambini, famiglie, semplici cittadini per dire no al progetto. Il 17 novembre scorso, infine, una grande manifestazione si è snodata per le vie del centro storico di Teramo, alla quale hanno preso parte 5mila persone, con i presidenti delle Province di Teramo e Pescara, molti sindaci e numerosi esponenti politici, sia del Polo che dell?Ulivo. Ma può questa storia può essere considerata solo abruzzese? Dal Comitato avanzano seri dubbi: «In realtà, le ragioni alla base di questi nuovi interventi sono da ricercare nella possibilità di ?affittare? i laboratori ai grandi gruppi di ricerca. La lista d?attesa si è allungata moltissimo per i laboratori del Gran Sasso e così, per rimanere al passo con la concorrenza internazionale, l?Infn vuole ampliare gli spazi disponibili». Bettini: Il nuovo traforo? Chi vuole sicurezza dovrebbe sostenerlo Parla il direttore dei laboratori Alessando Bettini è il direttore dei laboratori del Gran Sasso. A lui abbiamo girato le osservazioni che i movimenti ambientalisti stanno contestando al ?partito del terzo traforo?. Vita: Professor Bettini, è vero che trenta tonnellate di cloruro di gallio sono custodite nei laboratori del Gran Sasso? Alessandro Bettini: Sì, è vero. Ma è fondamentale comprendere due cose, per evitare strumentalizzazioni come quelle portate avanti dal Comitato. Primo, il gallio è nocivo se inalato, mentre quello che si trova all?interno dei nostri laboratori è liquido e sigillato, dunque più sicuro. Secondo, progetti come quello del Terzo traforo nascono proprio dall?esigenza di accrescere la sicurezza per quanti lavorano all?interno dei laboratori, dando loro la possibilità di uscire più rapidamente in caso di incidente interno. Vita: Dunque, non ci sono rischi di un disastro ambientale? Bettini: È assolutamente falso e diffamatorio sostenere questo rischio: i nostri dispositivi di sicurezza sono tecnologicamente molto avanzati, testati per evitare disastri in caso di circostanze estreme, come un potentissimo terremoto. Le voglio far presente, inoltre, che i laboratori del Gran Sasso sono fra i pochi al mondo che stanno per ottenere la Certificazione ISO 14001, garanzia estrema di sicurezza. E le assicuro che le procedure per ottenere un simile riconoscimento sono molto rigide. Vita: Accusano i laboratori del Gran Sasso di portare avanti esperimenti misteriosi? Bettini: Sa che abbiamo più di 15mila visite all?anno? L?estate scorsa, poi, ho scritto una lettera dettagliata a Fulco Pratesi, uno degli ?accusatori?, invitandolo a venire a verificare di persona quanto si svolge sotto il Gran Sasso. È un vero peccato, ma la mia lettera non ha avuto nessuna risposta. E Pratesi, qui ai nostri laboratori, non si è fatto ancora vivo?


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