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Il lavoro nel sociale? Rendiamolo gran bella storia

Il format (esportabile) di un network di cooperative e imprese sociali bolognesi che “convocano” tre influencer per incontrare i giovani

di Silvia Vicchi

Residenze per persone anziane o con disabilità, centri diurni, assistenza domiciliare, ospedali, nidi, sono oggi accomunati dalla stessa difficoltà: trovare personale qualificato. E se i servizi gestiti dal privato sociale soffrono di una ormai cronica carenza di figure educative e sociosanitarie, il servizio pubblico non se la passa meglio.

La questione è seria, perché rischia di mettere in crisi l’intero sistema di welfare e riguarda tutta Europa, tanto che già dieci anni fa l’Oms annunciava che entro il 2030, negli Stati membri mancheranno 600mila medici, 2,3 milioni di infermieri e 1,3 milioni di altre figure, tra operatori sociosanitari, educatori dei servizi per l’infanzia e per l’integrazione, per la disabilità, assistenti sociali, psicologi e pedagogisti.

Il lavoro nel sociale è poco appetibile? Porsi la domanda è d’obbligo, ma se si ascoltano coloro che nel sociale e nel sanitario lavorano, parlano di professioni complesse, ma gratificanti. Resta allora l’ipotesi che i giovani non ne sappiano abbastanza, che le informazioni sulle diverse figure professionali e sui percorsi formativi per lavorare nel settore siano scarse e poco accessibili, che non si abbia idea di cosa faccia un educatore, o cosa sia un operatore sociosanitario.

A Bologna, l’impresa sociale Seneca, le cooperative sociali Società Dolce e Aurora, Maggioli editore, JustOnBusiness e Unimarconi hanno organizzato l’incontro “Lavorare nel sociale, gran bella storia”, con gli influencer Giovanni Antonacci (a sx nella foto), e Gio e Andre (i due al centro della foto). «Abbiamo creato un evento che sarà possibile esportare in tutta Italia, per avvicinare i giovani alla conoscenza del sociale e ai percorsi formativi», ha detto Renzo Colucci, direttore di Seneca «attraverso le storie di chi vi lavora. Racconti di chi dell’attitudine verso gli altri hanno fatto la sua professione».

Occorre però aggiornare le retribuzioni e il sistema degli appalti

Pietro Segata (presidente Società Dolce)

Per Pietro Segata, presidente di Società Dolce, va restituita dignità ad un lavoro indispensabile per l’intera società: «I lavoratori del sociale vanno valorizzati, perché è la loro voce, da cui oggi emergono fatica, frustrazione e incoerenza, a raccontare questo mondo. È un lavoro basato su relazione e umanità, che una politica di gare pubbliche al ribasso ha portato al minutaggio e alla burocrazia. Il fare slegato dalla relazione è frustrante, ma lo sono anche stipendi lontani dall’attuale potere di acquisto, che allontanano i giovani. Le soluzioni? Creare percorsi di formazione, ma investire anche nell’accompagnamento professionale, nell’affiancamento e nella supervisione. I contratti collettivi nazionali e le retribuzioni vanno aggiornati, il sistema degli appalti rivisitato, così come i titoli necessari per lavorare nei servizi». E se questi sono solo alcuni punti su cui lavorare, anche in termini di politiche pubbliche, si dovrebbe investire contemporaneamente nelle esperienze educative per i giovani, come le parrocchie, il servizio civile, lo sport, la scuola, perché il rispetto, la solidarietà, l’accoglienza, l’inclusione e l’impegno su cui poggia il lavoro nel sociale s’imparano nel gruppo e sul campo e vanno interiorizzati come cultura. Poi possono diventare una professione.


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