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Il lavoro povero chiede scelte coraggiose

La narrazione dell’eccellenza formativa ha prodotto risultati imbarazzanti: dedichiamo le risorse pubbliche e i risparmi delle famiglie per formare giovani che alla fine del percorso decidono di migrare all’estero, in virtù di opportunità professionali e retribuzioni migliori

di Stefano Granata

Un fenomeno non adeguatamente trattato e approfondito dei nostri giorni, è sicuramente la crescita costante del lavoro povero. La forbice delle diseguaglianze, che si sta tanto progressivamente e drammaticamente allargando, registra come principale causa il basso livello salariale di una fascia sempre più vasta di lavoratori.

I dati occupazionali, certamente confortanti dal punto di vista quantitativo con indici positivi mai rilevati negli ultimi anni, non tengono conto di elementi qualitativi fondamentali, come appunto la bassa remunerazione di donne e giovani, tanto da classificarci tra gli ultimi in Europa. I salari di migliaia di persone non consentono loro livelli di vita sostenibili con effetti devastanti per il tessuto sociale. Molteplici i settori interessati: dall’assistenza sociale e sanitaria, alla filiera educativa, dai trasporti alla ristorazione e all’ospitalità turistica. Anche i mercati emergenti, come la logistica, crescono in maniera vertiginosa, ma spesso a discapito dei lavoratori.

Le cause di tale processo che ha influenzato l’Italia degli ultimi decenni, vanno ricercate nella complessità del nostro sistema: il portato enorme dell’evasione fiscale, che impedisce un’equa redistribuzione della ricchezza, il divario produttivo territoriale, il deficit infrastrutturale, una scarsa propensione imprenditoriale unita alla mancanza di reali progetti di industrializzazione nelle diverse filiere, e altro ancora.

Alla base di un divario così importante c’è il fatto che non abbiamo investito in un adeguato sistema formativo. L’impianto della scuola pubblica italiana è decisamente deficitario da tutti i punti di vista tanto che colmare l’evidente gap, avremmo dovuto convogliare buona parte, se non del tutto, delle risorse del Pnrr. Abbiamo la percentuale più bassa di laureati dei Paesi europei più evoluti.

I processi di riqualificazione professionale sono lenti rispetto alle trasformazioni dei mercati, non facilmente accessibili e poco rispondenti alle esigenze di vita delle persone. La narrazione dell’eccellenza formativa ha prodotto risultanti imbarazzanti: dedichiamo le risorse pubbliche e i risparmi delle famiglie per formare giovani che alla fine del percorso decidono di migrare all’estero, in virtù di opportunità professionali e retribuzioni migliori. Gli effetti dei tanti ritardi cominciano ad evidenziare allarmanti conseguenze che stanno trascinando la nostra comunità nazionale verso un generale impoverimento che non ha solo valenze di natura economica.

Il mismatch tra domanda e offerta riguarda ormai quasi 500mila postazioni di lavoro ed assume una rilevanza percentuale significativa sul Pil nazionale, a fronte di una curva demografica devastante che ci porterà tra poco più di un decennio ad avere una popolazione attiva numericamente minoritaria rispetto a quella passiva.


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Paradossalmente il contesto delle basse retribuzioni sta ormai inducendo molte donne e giovani a rinunciare alle proposte di lavoro. Si era pensato che il reddito di cittadinanza ne fosse una causa, ma la realtà dei fatti ci ha restituito un altro scenario: non vale la pena sacrificarsi a determinate condizioni.

Il lavoro povero sta indebolendo in maniera sottile e pervasiva il sentiment democratico: barriere di accesso culturale, perdita di fiducia nelle istituzioni, scarso interesse per il bene pubblico, impoverimento delle relazioni sociali. Un quadro che fa emergere con urgenza la necessità di condividere una vision, e di riforme strutturali che non siano in balia di futili slogan o soggette a consensi temporanei. Si comprende meglio l’importanza della sfida del rinnovo del contratto della cooperazione sociale, quale uno dei nodi essenziali per non essere risucchiati dalla spirale del lavoro povero. Siamo a un bivio e servono scelte coraggiose. La politica ha un ruolo fondamentale, ma il mondo delle imprese non rinunci alla sua potenza trasformatrice in grado di innescare quei profondi cambiamenti tanto auspicati quanto necessari.

Questo contributo è tratto dalla rubrica di maggio “Contropiede” che l’autore e presidente di Federsolidarietà/Confcooperative firma ogni mese su VITA magazine.

Foto: Pexels


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