Non profit
Il male, mai così banale
film La violenza gratuita perpetrata da due giovani bene
di Redazione

Raccontare di nuovo una storia. Nei minimi dettagli. Con le stesse inquadrature, le medesime battute. E soluzioni di stile già sperimentate con successo. È un po’ come ripetere con accanimento la stessa barzelletta. Prima o poi persino gli amici inizieranno a sbadigliare. Anche se sei bravo. Anche se «come le racconti tu, nessuno…».
È quel che avviene con questo Funny Games Unites States, versione stelle-strisce dell’originale ambientato in Gran Bretagna e targato 1997. Secondo il regista – il tedesco Michael Haneke, che ha diretto poi fra l’altro La pianista e il migliore Niente da nascondere – era necessario rifarlo. Perché gli spettatori americani non avrebbero colto le sfumature inglesi né si sarebbero immedesimati. Magari c’è da credergli. Si sa che l’acqua di un fiume è, cinematograficamente parlando, assai diversa da quella di un lago…
Chiamate le cose con il loro nome, ovvero marketing, ci si può concentrare sul film. Che naturalmente è assai ben confezionato. Stacchi di montaggio rigorosi. Una macchina da presa che è attentissima e costringe il pubblico a non distrarsi mai. Ottima musica. Cast davvero ben scelto (Tim Roth, rinunciatario al punto giusto; Naomi Watts, tenace e coraggiosa). Quanto al soggetto, si sa: borghese villa in campagna espugnata da due ragazzini altrettanto bene. Con una scusa si infitrano nella proprietà e non ne escono se non a strage compiuta. E distillata. Perché naturalmente quella contemporanea è una violenza che si consuma poco a poco, più psicologica potremmo dire. Autentica cattiveria gratuita, illustrata benissimo molti anni fa da Stanley Kubrick con Arancia meccanica (ma lì c’era una componente di classe qui assente).
Certo il male esiste, vien da commentare, e può assumere molte forme. Per esempio l’aspetto candido di due adolescenti cresciutelli e bianco-vestiti, con prevedibili problemi identitari e di genere, capaci di usare adeguatamente un congiuntivo, di adottare formule scelte di cortesia e al tempo spesso di fracassare un ginocchio con una mazza da golf. Di più. Sono in grado – specie il più cattivello (Michael Pitt, sadico al punto giusto) – di guardare in macchina, discettare su verità e finzione e flirtare spudoratamente con lo spettatore, riavvolgendo la cassetta quando le cose prendono una piega non gradita. Sublime coscienza metalinguistica. Che aggiunge, ma non sono sicuro fosse poi così necessario, un tocco di compiacimento retorico in più a un film che tutto sommato era già una specie di auto-celebrazione.
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