Non profit

Il microcredito “yuppie”bcrolla insieme alle borse

dopo la crisi A rischio collasso le banche dei piccoli prestiti for profit

di Redazione

Le società che hanno fatto dei piccoli prestiti un grande affare oggi vivono ore drammatiche. E con loro milioni di contadini e microimprenditori S cricchiola la casa dei piccoli prestiti. Lo spettro della crisi finanziaria bussa alle porte, i tassi di interesse schizzano alle stelle e migliaia di famiglie non riescono a stare dietro ai rimborsi. Nel bel mezzo del terremoto dei mercati, che ha spazzato via le banche d’investimento più prestigiose, suonano le campane a morto per un’altra vittima. Quel microcredito – soltanto un parente lontano dell’idea che spinse Muhammad Yunus a creare la Grameen Bank – che ha sposato il business for profit fino ai piani alti delle quotazioni in Borsa, accompagnato sui listini proprio da quelle banche d’affari internazionali oggi vendute a pezzi o convertite alla filosofia del retail. In Messico, in India, in Sudamerica e pure in Africa i piccoli prestiti si sono trasformati in macchine da guerra for profit. Fin qui niente di male. Solo che ora molte banche di microcredito rischiano di finire schiacciate dal crollo delle Borse.
Secondo Deutsche Bank, il mercato del microcredito ha un bacino di domanda pari a 250 miliardi di dollari. Una montagna di denaro che ha scatenato gli appetiti dei grandi investitori. Il perché lo spiega sfogliando i bilanci di Sks India, una società di microcredito che ha recentemente aperto il capitale al più grande fondo di venture capital del mondo, Sequoia Capital, dove figura un Roe, l’indice di redditività, del 23%. Roba da far impallidire le banche più navigate e orientate al profitto. Sks India non è un caso isolato. Lehman Brothers ha impacchettato – in joint venture con Microvest Capital Management – contratti derivati, collaretalized loan obligation (Clo), per oltre 40 milioni di euro su microcrediti ad alto rischio. In Africa, la Banca commerciale di Tanzania ha quotato in Borsa il suo veicolo finanziario destinato ai piccoli prestiti. Tutti travolti dalla crisi dei mercati. Tutti nei guai per la scarsa liquidità a diposizione. E soprattutto contadini e microimprenditori alle prese con la crisi globale delle Borse.
Ma è soprattutto in Messico dove la microfinanza for profit sta rischiando il collasso. Nel 2007 la società Compartamos ha aperto le danze in Borsa quotando sullistino il 30% del capitale. Pochi mesi dopo al Mexican Stock Exchange è arrivata Financiera Indipendencia allargando la proprietà ai soci del listino per il 20% delle proprie azioni, il cui valore totale ammonta a 1,5 miliardi di dollari. Insieme le due società servono circa due milioni di persone: dal Messico fino a Bolivia, Ecuador, Guatemala.
La Banca mondiale ha quindi acceso un faro sui conti del business dei piccoli prestiti: aziende come Compartamos e Financiera Independencia, oggi, trattengono il 26% degli interessi incassati a scopo di lucro, utili puri, contro il 15% di media delle altre banche. Il perché lo si capisce dal “tariffario ” che può arrivare fino al 152% per un prestito di mille dollari rimborsabile in sei mesi. Microcredito snaturato a consumo degli azionisti, contro cui lo stesso Muhammad Yunus ha lanciato strali e accuse. Alex Counts , presidente di Grameen Foundation America, che ha appena celebrato le nozze con Ibursa del magnate Carlos Slim per nuovi servizi di microcredito in Messico, ha subito polemizzato con i due bancos de microfinanza: «Forse genereranno profitti, ma in favore degli azionisti, non dei clienti poveri». Ora i due gruppi quotati alla Borsa messicana sembrano alle corde. Entrambi hanno dimezzato il loro valore nel giro di sei mesi: Compartamos, dopo aver incassato un deciso sell da parte di Merril Lynch per la vulnerabilità dei suoi prestiti, ha lanciato un piano di buy back, un acquisto di proprie azioni, per compensare la perdita del 50% del titolo sul mercato azionario. Financiera Independencia non se la passa meglio, tanto che Hsbc, banca britannica, la più grande d’Europa, ha scelto di uscire dal capitale vendendo la sua partecipazione del 18,68%.

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