Mondo

Il mio bambini, curato dal mio nemico

La storia di Saving Children, iniziativa che permette le cure transfrontaliere tra israeliani e palestinesi. Merito di una donna e di un pediatra. Di Gad Lerner

di Redazione

Posta da sempre al crocevia del nostro immaginario – il luogo in cui si toccano la ricchezza del Nord e la povertà del Sud del pianeta; la spiritualità orientale e la tecnologia occidentale – Gerusalemme pare indicarci ancora oggi il meglio e il peggio del futuro che ci attende. è impressionante pensare come di nuovo quelle pietre abbiano assunto centralità politica, religiosa, simbolica per miliardi di uomini, nonostante lo scarso rilievo economico e strategico del loro minuscolo territorio. Come se di nuovo si decidesse lì il destino del mondo, la pace e la guerra, l?incontro o lo scontro delle fedi e delle etnie. Una città antichissima, eppure la percepiamo anticipatrice degli eventi determinanti il nostro futuro. Il meglio e il peggio di quel che ci attende, appunto. Sarà allora il caso di non limitarci a scrutare quel meglio e quel peggio mescolati come in un film di cui saremmo solo spettatori impotenti. Pure a noi tocca scegliere, agire.

Madri e bambini
Misteriosi sono i percorsi attraverso cui veniamo modificati dal lutto o dall?esperienza personale della malattia. Gerusalemme offre loro un palcoscenico identitario e una sacralità potenzialmente incendiari. Di fronte a un figlio morto in guerra, a una casa distrutta, all?amico vittima casuale di un attentato, le reazioni possono essere opposte. Il meglio e il peggio. L?odio comunitario generalizzato a un popolo nemico in toto. O viceversa la scoperta di quanto il dolore sia esperienza comune, l?impressionante analogia fra le vittime capaci di riconoscersi.

Non è certo un caso che tale sforzo, davvero eroico nel mezzo di una guerra, veda quasi sempre per protagonisti le madri e i bambini. Più di rado anche i padri, come nel caso dell?umile artigiano palestinese di Jenin che, avendo avuto il figlio ucciso per errore dall?esercito israeliano nell?ottobre 2005, ha espresso la volontà che i suoi organi fossero donati a bambini israeliani che ne avevano bisogno. Un gesto di lungimiranza impressionante, difficile da comprendere per i ?suoi?, eppure formidabile nella sua capacità di parlare al cuore del ?nemico?.

In questi casi si corre sempre il rischio di passare per traditori o collaborazionisti: l?accusa più frequente nella guerra totale delle appartenenze. Lo racconta il pediatra palestinese Anwar Dudin, che dal suo ospedale di Betlemme smista bambini afflitti da patologie neonatali o altre gravi infermità nei centri di cura più avanzati a Tel Aviv o a Gerusalemme. Tra la sua gente non manca mai chi lo accusa di fornire un alibi di buona coscienza all?oppressore. Ma per lui è più importante salvare la vita dei bambini. E ben venga se ciò implica l?intreccio di relazioni con medici israeliani, la sperimentazione di una consuetudine quotidiana resa difficile dai check point eppure fecondissima per entrambi i contraenti, oltre che per le famiglie che varcheranno il confine, incontreranno nelle corsie degli ospedali l?umanità inaspettata del nemico, la salvezza della propria creatura malata.

Investimento sul futuro
Si comincia dai bambini, le prime vittime della guerra. Così il pediatra Dudin ha intrecciato il suo destino a quello di una donna che vive a Tel Aviv, l?italo-israeliana Manuela Dviri, energica nello smistare e nell?accompagnare le cure necessarie superando il filo spinato dei confini: lei suo figlio Yoni l?ha perso in Libano, vittima di un?imboscata che aveva solo vent?anni. E ora si prodiga nel tentativo di dare un senso a quel sacrificio insensato. A questa operazione denominata Saving Children che ormai consente circa mille interventi transfrontalieri all?anno, diverse regioni italiane collaborano con supporto logistico e finanziamenti coordinati dall?assessore toscano Massimo Toschi.

Anwar Dudin, palestinese musulmano; Manuela Dviri, israeliana ebrea; Massimo Toschi, italiano cristiano. Ecco un caso di gioco di squadra in cui la diversità fra gli attori protagonisti rafforza la sinergia e riempie di senso l?agire. Come nell?ospedale di Alyn, unico centro in Israele per la riabilitazione dei bambini e degli adolescenti disabili fisici, nel cui biglietto da visita è per prima cosa indicato il rifiuto di ogni distinzione religiosa o di provenienza etnica. Un bambino curato dal ?nemico? è il più formidabile investimento su un futuro di pace.

E se qualcuno fa notare al pediatra Dudin la disparità esistente, perché nelle città palestinesi mancano attrezzature di livello come quelle israeliane, lui risponde sorridendo: «Abbiamo in compenso degli ottimi psichiatri, mandateci pure in cura tutta quella gente fanatica che vuole prolungare questa guerra».

Questo articolo è un?anteprima dal prossimo numero della rivista Progetto Italia.

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