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Il mio bimbo uscirà di cella ma sarà solo

Sasà è cresciuto con la madre nel penitenziario di Bellizzi Irpino.A giugno però il piccolo compirà tre anni e dovrà uscirà. Mentre la donna resterà in prigione, a scontare altri nove mesi.

di Federica Raimondi

H a i capelli biondo oro, ondulati e un po? lunghi come quegli angeli di Raffaello che oggi vanno di moda sulle felpe dei teen-ager. Corre dappertutto e salta come un grillo, riempendo di grida e di risate i corridoi lugubri del carcere. Si chiama Sasà, ha due anni e mezzo, e da sei mesi vive nel carcere femminile di Bellizzi Irpino, insieme a Rosa, l?unica mamma rimasta nell?istituto di pena. Appena qualche giorno prima che la incontrassimo, erano uscite le altre due detenute madri, come le definisce il gergo glaciale della burocrazia, insiema ai loro piccoli, compagni di gioco di Sasà. Rosa invece starà dentro ancora un anno e mezzo. Ma del tempo, che le importa? Alla fine, un mese vale l?altro. La sua angoscia è un?altra, più profonda e più intensa. Gliela leggi subito, appena la vedi, nel viso tirato e negli occhi segnati. E poi nel tremolio della voce, quando ti parla di sé, seduta sull?altalena dell?asilo nido, fiore all?occhiello del carcere di Bellizzi. A tre chilometri da Avellino, il carcere di Bellizzi si trova in cima a un?altura circondata dalle montagne irpine. È una cittadella, dai colori un po? spettrali, tutta bianca con i portoni verdi. Di fronte alle cancellate altissime, c?è una fermata d?autobus ma in giro non si vede un?anima. Il silenzio irreale di questo posto è l?incubo di tutte le detenute napoletane: «All?inizio sbraitano un po?, poi dopo s?abituano», spiega l?ispettrice che ci accompagna da Rosa. Pareti, pavimenti e corridoi, tutto è grigio, fatta eccezione per qualche pianta agli angoli delle scale. L?asilo nido, l?unico in Campania, è un grosso stanzone dove, fino a qualche anno fa, giocavano anche dieci, dodici bambini. Poi, anche per effetto della legge Simeone, il numero delle detenute è calato fino a venti. Rosa R. sbuca dalla porta del ?giardino?, con Sasà che le trotterella dietro, inseguito da una maestrina bionda. Ha quarantadue anni, è alta e robusta, un vero donnone, insomma, ma ha il passo stanco di chi si porta sulle spalle un peso troppo grosso. Il bambino invece è un folletto, vivacissimo e innamorato delle sue vice mamme: due poliziotte che lo guardano a vista mentre Rosa tira un respiro profondo, prima di incominciare il suo sfogo. «Sto qui da sei mesi ormai, ma c?ero già stata, quando Sasà era piccolissimo», racconta Rosa. «Allora non capiva niente. Stavolta invece ha avuto un trauma: da quando è entrato non riesce più a parlare. I primi mesi non diceva una parola. Ora qualche cosa, ogni tanto, la dice ma si esprime male: lo sentite? Ora, io mi chiedo, cosa succederà a giugno, quando farà tre anni e me lo porteranno via? Sarà una tragedia, ne sono certa: avrà un trauma ancora più forte… E io esco pazza, solo al pensiero che mio figlio possa uscire prima di me. Dove andrà?». Non ha i soldi per un avvocato Rosa da quindici anni è separata dal marito, dal quale ha avuto tre figli: Sasà è nato da una relazione successiva. La madre è morta qualche anno fa e lei ha un solo parente: il fratello che non può darle una mano perché ha già cinque figli e che si sta crescendo anche i due più grandi di Rosa. «Non voglio che Sasà finisca in un istituto, non è giusto: ha bisogno di affetto. E non voglio neanche che vada in un?altra famiglia. Lui, la sua, già ce l?ha: sono io con suoi fratelli… io devo uscire di qui con mio figlio, altrimenti, giuro, divento matta». Rosa si passa le mani fra i capelli e ammutolisce per un po?. Vorrebbe chiedere aiuto a un avvocato ma non sa come pagarlo. Incarcere le hanno dato una mano, facendole fare qualche pulizia. In tutto ha guadagnato cinquecentomila lire: una cifra che non basterebbe per un un praticante. «Non esisto solo io. Anche altre detenute hanno bisogno di lavorare e bisogna fare un po? a turno. Loro, quando sono arrivata che non avevo una lira, mi hanno aiutato a comprare qualcosa per il bambino? Anche se il carcere mi dà tutto. Non gli fanno mancare niente, a Sasà: me lo vestono e me lo fanno mangiare. Anche bene: sono io che decido, giorno per giorno, il menù. Ma quello che gli manca, davvero, è la libertà. Quando alle sei e mezza di sera dobbiamo tornare in cella, Sasà comincia a piangere: vuole correre, stare fuori. Ora, poi, se ne sono andati anche gli altri due bambini e lui chiede, vuol sapere cosa fanno, dove stanno». Da quando è entrato a Bellizzi, il bambino è uscito solo una volta, verso Natale, quando l?hanno operato di ernia, all?ospedale Santobono di Napoli: «Avevo chiesto di assisterlo, perché non entrasse in sala operatoria da solo», racconta ancora Rosa, «ma il magistrato mi ha concesso sei ore di permesso, quando era ormai inutile. Sono arrivata lì che era già stato dimesso? Per fortuna c?era la sua poliziotta, allora si è calmato». Sasà conosce solo donne eppure, appena vede un uomo, gli si avvicina e lo tocca con una strana complicità, come se capisse che è normale avere un padre. La macchina fotografica lo fa impazzire, la guarda stranito come fosse una navicella spaziale. C?è una cosa che Rosa non riesce a perdonarsi e infatti la tira fuori ogni due minuti, quasi a giustificarsene, ed è il motivo per cui è rientrata in carcere: un?evasione cretina, dice lei, che però le è costata la libertà. «Avevo avuto gli arresti domiciliari e vivevo a casa di mia madre, a Torre del Greco. Poi lei è morta e io sono rimasta da sola. Una sera, erano le dieci, il bambino strillava che aveva fame. Il latte era finito, non sapevo come fare, allora ho pensato che se uscivo solo un secondo, non succedeva niente». E invece, è bastato un piede fuori dall?uscio perché Rosa tornasse in carcere, perdendo tutti i benefici di legge: «Forse Gesù Cristo mi vuole castigare per tutti gli errori che ho fatto, ma lui che c?entra?» dice, accarezzando la testolina bionda di suo figlio. Altri tre figli, un morto di droga Se le chiedi cosa sogna, a cosa pensa, quali sono i suoi obiettivi per il futuro, Rosa ti risponde una sola cosa: tornare a casa con Sasà, scontare i nove mesi di pena che le resterebbero da giugno in poi e ricominciare tutto daccapo, insieme agli altri due figli: «In verità erano tre. Il più grande è morto a diciotto anni, di droga, poi c?è la femmina che ora è maggiorenne e un altro maschietto che ha undici anni e fa la prima media: ora vivono tutti e due con mio fratello che fa il marittimo». Ma lei li vede pochissimo e li sente ancora meno perché a casa del fratello non c?è il telefono. Così è una suora che ogni tanto le fa arrivare qualche notizia. Ma chi era Rosa prima del carcere? «Facevo le pulizie nel palazzo di mia mamma, in tutti gli appartamenti. E questo tornerò a fare, perché i miei vicini mi aspettano. Me lo dicono sempre, quando mi scrivono. ?Non ti preoccupare Rosa, ché quando torni vieni a lavorare da noi?». Anche il suo padrone di casa le darà una mano: «Quando morì mia madre, io non sapevo come pagare la pigione ma il padrone chiudeva un occhio. ?Va bene, la prossima volta?, diceva. Non mi butterà fuori, quando uscirò. Ne sono certa». Pentita di essere stata spacciatrice Il marito invece non la vuole più vedere e non le passa una lira:«Ma è una brava persona, ve l?assicuro. Fa il marittimo come mio fratello. Potrei dire che sono rimasta per molti mesi da sola e che per questo ho fatto tanti errori ma non è così. Sono io che ho rovinato tutto. Ho gettato dalla finestra quei pochi momenti di serenità che ho avuto nella mia vita». Sulla natura di questi errori Rosa scivola, dice e non dice, oppure si rifugia in un dialetto quasi incomprensibile. Capiamo solo che spacciava droga: ?Hashish?, precisa lei, ?ma è un fatto vecchio, dell?83. Giuro che quella roba io non la tocco più da un sacco di tempo». Comunque sia, il suo passato la mette a disagio come uno spettro che riappare, indesiderato, a ogni angolo della casa. E il pensiero del futuro, in prigione senza suo figlio, è un ossessione che rischia di portarla alla follia: Rosa è un animale braccato, incapace di muoversi e di partecipare alla vita del carcere, ai corsi di ceramica e di pelletteria, organizzati per le altre detenute. L?unico programma televisivo di cui abbia memoria è proprio un?intervista del giornalista Enrico Deaglio a una detenuta di San Vittore, mamma come lei. È quasi mezzogiorno. Sasà sbuffa e si lamenta. Rosa gli solleva la maglietta per mostrarci sei centrimetri di cicatrice, ricordo dell?operazione subita a Natale, poi lo prende in braccio e si allontana, inghiottita da un corridoio grigio, senza fine. Lui fa ciao con la manina. Arrivederci, a giugno. Corleone: basta bambini dietro le sbarre Nonostante le buone intenzioni, il dramma delle detenute-mamme non è ancora risolto. Se ne è parlato anche recentemente, durante l?audizione tenuta in commissione Giustizia del Senato da Alessandro Margara, direttore generale del Dipartimento dell?amministrazione penitenziaria, e da Franco Corleone, sottosegretario del ministero di Grazia e giustizia. Margara ha spiegato come dovrebbe essere il nuovo regolamento penitenziario, che sostituirà quello attuale, in vigore dal 1976. Sostanziali novità sono previste anche per la questione delle carcerate (attualmente una quarantina) obbligate ad allevare in carcere i propri bambini che non sanno a chi affidare e che comunque all?età di tre anni non possono più rimanere in carcere. Nel nuovo regolamento, ha spiegato Margara, «vi sono norme concernenti la sanità, alcune delle quali riguardano le madri con bambini all?interno delle carceri. Si fissano alcune regole per cui i bambini dovrebbero poter fruire dei servizi esterni ed essere accompagnati agli stessi. Comunque, all?interno del carcere non dovrebbero vivere persone diverse dai detenuti. Oggi i bambini seguono sostanzialmente la condizione della madre, chiusa in cella». Margara ha anche ribadito la necessità che il parto di una detenuta incinta avvenga sempre al di fuori del carcere, come d?altronde sarebbe già previsto dalla legge. Il sottosegretario Corleone, da parte sua, ha affermato che il nuovo regolamento migliorerà sensibilmente la situazione «intollerabile» dei bambini e delle madri in carcere e si è augurato che entro l?estate tutto il ?pacchetto? di proposte sia finalmente definito. 41 mamme, 42 figli Totale donne detenute:1.838 In attesa di giudizio:483 Condanne definitive:1.015 Appelli, ricorso, internati:332 Donne straniere detenute:578 Donne madri detenute:41 Detenute in stato di gravidanza:4 Figli in carcere con le madri:42 Asili nido funzionanti in carcere:14 Asili nido non funzionanti:4 dati ministero Grazia e giustizia al 31.12. ?98


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