Non profit

Il modo per fare business senza sacrificare le persone

di Redazione

Pauline Green, leader della Co-operative Alliance, dimostra, dati alla mano, perché quello cooperativo è un modello che cresce anche nella crisi. Se ne è accorto il mondo for profit che ne imita le buone pratiche. Mentre l’Ue ancora latitaPauline Green è la prima donna a rivestire la carica di presidente dell’International Co-operative Alliance. Nata a Malta nel 1948, ha dedicato tutta la sua vita alla causa del movimento cooperativo.
Lei dice sempre che le imprese cooperative lavorano per un “mondo migliore”. Come si immagina questo “mondo migliore”?
Faccio un esempio: il 17 marzo ho ricevuto la notizia che la Grecia si aspetta di ricevere 28 miliardi di euro dal Fondo monetario internazionale per garantire la propria sopravvivenza finanziaria. Sempre oggi, il board della banca svizzera Ubs ha ricevuto 70 milioni di franchi in bonus. Il “mondo migliore” che le imprese cooperative stanno cercando di costruire è un mondo in cui il bisogno umano prende il posto dell’avidità. La responsabilità di questa crisi finanziaria, che sta investendo in particolare l’Europa, può essere cercata proprio nell’avidità. Le cooperative sono un modo di fare business che punta sì al profitto, ma senza sacrificare le persone. I banchieri di Goldman Sachs, che hanno definito i propri clienti dei “pupazzi” e poi premiato i dirigenti che hanno realizzato i maggiori profitti, fanno parte di un ambiente culturale malato, in cui la ricerca del profitto non conosce limiti. Bisogna pensare a un nuovo sistema finanziario. Un mondo in cui il business delle cooperative riceve le stesse attenzioni da chi stabilisce le regole, dai burocrati e dai governi. Soprattutto, un mondo in cui il pubblico sia incoraggiato a conoscere e vedere i benefici, i valori e la sostenibilità di un modello di business che, a livello globale, è di proprietà di un miliardo di persone.
Sembra che le imprese for profit stiano sempre più valorizzando i propri aspetti “sociali”. Questa è un’opportunità o un rischio per la cooperazione?
I programmi di Csr stanno diventando sempre più naturali nelle aziende, il che crea uno spiraglio, un’apertura, per una maggiore presa di coscienza di cui le cooperative possono avvantaggiarsi. In più, noi possiamo dimostrare che l’impegno che mettiamo nel sociale fa parte del nostro Dna e non è solamente uno strumento di marketing. Le cooperative sono sempre state un catalizzatore per il cambiamento ? prendiamo il movimento fair trade per esempio. Sono state le cooperative di consumatori che, più di tutte, hanno spinto per portare i prodotti del commercio equo nei negozi coop. Siamo contenti che i nostri competitor internazionali ci abbiano seguiti su questa strada, perché significa che un numero crescente di produttori nei Paesi in via di sviluppo migliora o ha migliorato le proprie condizioni di vita, permettendo così ai propri figli di andare a scuola e di disporre di cibo e acqua pulita.
C’è chi teme che le cooperative siano a rischio “demutualizzazione”, il che le porterebbe a perdere le proprie caratteristiche distintive. Che cosa ne pensa?
Ci saranno sempre quelli che ruotano attorno alle cooperative in cerca di opportunità di guadagno attraverso la demutualizzazione. E il rischio di demutualizzazione è sempre presente. Ecco perché educare le persone e le comunità al valore della forma cooperativa è importante. Le cooperative mostrano a tutti i livelli che il loro modello di business è in grado di coniugare una crescita economica costante e un aumento dei benefici per i propri membri e la comunità. Basta ricordare cosa è accaduto in Gran Bretagna durante i momenti più difficili della crisi finanziaria globale, quando molte e importanti banche inglesi demutualizzate sono crollate. Ma la demutualizzazione rimane la sfida maggiore per il movimento delle cooperative e allo stesso tempo impone che queste siano in grado di fornire una salutare, rinvigorente politica di iscrizione. Le cooperative devono rinnovare con costanza i propri dirigenti incoraggiando una partecipazione democratica dei propri membri a tutti i livelli, garantendo sempre un numero di candidati per le posizioni di leader che siano entusiasti e ben informati.
Quale contributo possono dare le cooperative alla Big Society in Gran Bretagna e alle nuove politiche europee sulle imprese sociali?
Sto ai numeri. Nel 2011 in Gran Bretagna le cooperative valevano 33 miliardi di sterline. Sono cresciute più di tutto il resto del Paese, registrando un più 21% all’inizio della crisi del credito nel 2008 e dando il via ad una florida economia cooperativa. Nel loro insieme, danno lavoro a 236mila persone e sono proprietà di 12,8 milioni di persone, più di un quinto della popolazione inglese. È per questo che l’attuale coalizione conservatrice che è al governo considera le cooperative un focus fondamentale per gli anni a venire, considerato che l’economia britannica sta cercando la modalità per creare posti di lavoro e dare una prospettiva futura in particolare ai giovani. Se allarghiamo lo sguardo, vediamo che in tutta Europa vi sono circa 250mila cooperative, di proprietà di 263 milioni di cittadini e che danno lavoro a 5,4 milioni di persone. Nonostante questo, però, l’Unione Europea non dà ancora un riconoscimento significativo al settore e alla sua capacità di creare posti di lavoro ? di cui vi è un bisogno disperato ? oltre che di affrontare alcuni dei temi più caldi del momento, dalla disoccupazione alla crescita sostenibile, dal cambiamento climatico alla politica energetica.
Che cosa si dovrebbe fare?
Il movimento delle cooperative deve assicurarsi che la propria voce abbia un peso all’interno della Social Business Initiative dell’Unione Europea. Ma abbiamo già visto iniziative simili, quindi è importante che i decision makers non si accontentino nell’attuale e molto difficile situazione economica. Il nostro modello economico ha dimostrato di poter competere con gli attuali modelli di business for profit e di poter vincere. Non abbiamo bisogno di essere protetti. Se viene chiesto alle cooperative e alle imprese sociali di aiutare, allora però l’Unione Europea e i suoi governi più di peso devono garantire che utilizzeranno la loro influenza a livello globale per assicurare un’economia internazionale che sia più diversificata, in grado di includere una promozione equa del settore cooperativo e delle imprese sociali, per darci così una piattaforma economica stabile per i decenni a venire.

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