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Attivismo civico & Terzo settore

Il non profit attrae ma non trattiene

Studio dell'osservatorio Sodalitas-HayGroup: lavorare nel terzo settore piace sempre di pi

di Francesco Maggio

Lavorare nel terzo settore piace sempre di più. Ma una volta varcata la fatidica soglia di un?organizzazione non profit e ottenuta la tanto agognata chance per collaborarvi, tutto comincia ad apparire diverso da come uno se l?era immaginato. Già, perché se la dimensione umana e personale viene particolarmente curata, non altrettanto può dirsi per la sensibilità verso le esigenze di sviluppo professionali di dipendenti e collaboratori. In altre parole, si guadagna molto (non di rado, troppo) meno rispetto al profit e alla lunga una situazione simile non la si regge. Da qui un turnover medio annuo elevatissimo, pari al 29% in entrata e al 17% in uscita e, nel complesso, superiore al 21% rispetto al mondo profit. A far emergere questa contraddizione interna al terzo settore è l?osservatorio Sodalitas-Hay- Group sulle risorse umane nel non profit, che ha messo sotto la lente un campione qualificato composto da 75 enti, rappresentativo delle diverse tipologie organizzative senza fine di lucro: 51% associazioni e fondazioni, 29% cooperative sociali, 20% ong. «Un turnover così elevato e, oltre tutto, in costante crescita, non è riscontrabile in nessun altro settore», afferma Marco Galbiati di HayGroup, «i costi a carico delle organizzazioni si rivelano quindi enormi e vanno dalla dispersione di competenze chiave all?impossibilità di consolidare una cultura organizzativa condivisa». Insomma, il gap retributivo rispetto alle aziende profit, soprattutto per quanto riguarda quadri e dirigenti, rischia di rappresentare il vero ostacolo a un consolidamento del non profit in Italia. Un divario con le imprese che riguarda anche la scarsa differenziazione delle politiche retributive: infatti solo il 40% delle organizzazioni le adotta e solo in un caso su quattro ciò avviene sulla base del merito, della qualità della prestazione o delle competenze acquisite. Il criterio di differenziazione più utilizzato rimane quello della famiglia professionale di appartenenza mentre lo strumento di gran lunga più diffuso è l?una tantum, utilizzato dal 40% degli enti, piuttosto facile da gestire perché erogato in maniera discrezionale e non attraverso piani formalizzati di incentivazione. Infine, solo il 12% del campione, a fronte del 21% rilevato nel 2004, ricorre a incentivi a breve termine correlati al raggiungimento di obiettivi individuali o di gruppo.


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