Non profit

Il nostro mercato:bpiù qualitàbe più umanità

Parla Lars Pettersson, leader del terzo settore

di Redazione

«Sino ad oggi il non profit gestiva il 2% dei servizi. Da domani sarà molto diverso. Anche se è un processo progressivo, perché le associazioni non vogliono perdere la loro autonomia. E il governo ci ha dato garanzie in questo senso» « U omo, adulto, sano, a capo di una grande organizzazione non profit». Vi verrebbe mai in mente di definire un uomo così, in buone condizioni di salute, beneficiario di welfare? In Svezia, succede. A tratteggiare questo identikit, guardandosi allo specchio, è Lars Pettersson, conoscio del paradosso, e della provocazione, contenuti nella legge sulla Freedom of choice che, in quanto segretario generale di Famna, rete di associazioni non profit che fornisce servizi socio-assistenziali, ha contribuito a creare: la trasformazione dell’uomo qualunque in arbitro del welfare. «Perché la legge sulla libertà di scelta, in vigore dal primo gennaio del 2009, si applica ai servizi sociali ma anche all’assistenza sanitaria di base», spiega. «Cambierà la vita di un anziano bisognoso di cure particolari ma anche di un adulto come me che, dall’inizio dell’anno, ha diritto a scegliere l’unità di assistenza medica di base in cui farsi curare. Sul lungo periodo, la Law on freedom of choice avrà un impatto su tutta la popolazione».

Vita: E sul breve periodo?
Lars Pettersson: Applicare o meno la legge è una scelta delle municipalità locali e regionali che in Svezia gestiscono, rispettivamente, i servizi sociali e di salute e che godono di molta autonomia politica. Già a fine 2008, tuttavia, 186 delle 290 municipalità locali avevano annunciato di volerla applicare dall’inizio del nuovo anno. E alta è anche la percentuale tra le municipalità regionali. Gestite dagli schieramenti politici più diversi.
Vita: Come mai?
Pettersson: La legge sui diritti di scelta è percepita come uno strumento efficace sia per la qualità delle cure fornite, sia per la soddisfazione dei cittadini. In maniera informale, alcune municipalità locali e regionali da anni sperimentano gestioni del welfare alternative e ora la legge si è adeguata alla pratica. In più, il governo ha stanziato un budget per incentivare le comunità locali e regionali ad attuare la riforma dell’assistenza passando dalla gestione completamente affidata al pubblico alla devolution dei servizi al terzo settore e ad altri fornitori.
Vita: La legge è una vittoria della società civile?
Pettersson: In un certo senso, sì. Fino al 31 gennaio 2008, l’assegnazione della fornitura di servizi socio-assistenziali avveniva con tradizionali gare di appalto che penalizzavano i piccoli fornitori, della società civile ma anche del profit, poco competitivi sulla mole di servizi da offrire e sui costi di fornitura. Con il risultato che, a fine 2008, l’85% dei servizi socio-assistenziali era gestito dal governo e del restante 15% solo il 2 era in mano al non profit.
Vita: Crede che il terzo settore sia pronto a entrare sul mercato del welfare?
Pettersson: Non tutto, e non rinunciando completamente a forme di entrate più tradizionali. La posizione più diffusa tra le sigle sociali oggi è questa: se ce lo chiederanno, staremo sul mercato del welfare, ma continueremo a essere indipendenti.
Vita: La fornitura di servizi pubblici e il diritto di critica sulle politiche governative sono compatibili?
Pettersson: Il 23 ottobre scorso, governo e terzo settore hanno firmato un accordo di collaborazione, chiamato Compact, che tratta proprio questa ambiguità. Il governo, in particolare, si è impegnato a mettere il non profit nelle condizioni di diventare un fornitore di servizi socio-assistenziali e, al tempo stesso, a garantire che i player del non profit non perdano la loro autonomia e la loro funzione di critica nei confronti delle politiche pubbliche.

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