Minori
Il parroco di via Selvanesco: «Quei bambini vengono da una bolla di invisibili»
Don Paolo Steffano è alla guida di quattro parrocchie a Gratosoglio, la periferia milanese dove è avvenuto il tragico incidente: «Sono arrivati mesi fa non si sa da dove, i bambini non sono registrati all’anagrafe, non hanno acqua né corrente. Qui non si tratta di interventi sociali: situazioni del genere non possono e non devono esistere. In queste condizioni non ci sono risposte possibili»

Ma quale campo rom? Ma quale associazionismo, quali progetti, quali interventi sociali? Questa è una «bolla di invisibili: semplicemente, non dovrebbe esistere». A parlare è don Paolo Steffano, un prete che ha sposato le periferie e che da alcuni anni è alla guida di quattro parrocchie a Gratosoglio, il quartiere milanese in cui è avvenuto, lunedì scorso, l’incidente costato la vita a una donna di 71 anni. È qui, in questa zona popolosa e popolare al limite meridionale del capoluogo lombardo, che «circa sei mesi fa hanno iniziato a comparire roulotte e famiglie: prima una, poi un’altra. E nelle strade, nelle piazze, fuori dalle parrocchie e dai supermercati, gruppi di bambini e ragazzi che ne combinavano di ogni…», ci racconta.
Non un campo rom, quindi?
No, una situazione diversa e completamente fuori controllo. Strutture fatiscenti, senza alcun servizio, che si sono moltiplicate un giorno dopo l’altro. Se scatto una foto e la mando a un amico, dicendo che sono in Ucraina, non farà fatica a crederci. I bambini non sono registrati all’anagrafe, ovviamente non frequentano la scuola e, diversamente da quanto accade nei campi rom, non partecipano ad alcun progetto e non ricevono alcun tipo di sostegno. Insomma, è come se non esistessero. Questa è una bolla di invisibili, che ora è esplosa in seguito a questa tragedia incredibile: quattro bambini alla guida di un’auto che investono e uccidono una donna! Se fosse accaduto il giorno successivo sarebbe stata una strage, perché lì il martedì c’è il mercato. Mi domando come sia stato possibile arrivare a questo punto…

E che risposta si dà?
Non esiste risposta, perché questo non dovrebbe essere possibile: ci sono tutte le leggi per dire che una situazione del genere non può esistere. Non dobbiamo confondere questa situazione con quella dei rom, che pure ha le sue problematicità. Qui non si può pensare a possibili interventi, progetti o servizi: le istituzioni, nel rispetto dell’ordine pubblico, devono fare in modo che questi insediamenti non si creino.
Qual è il contesto in cui si trova questa “bolla”?
In un quartiere di altissima residenza, che confina con campi di grano. Ci sono stradine sterrate, una rarità a Milano! E attraverso queste stradine, mesi fa, in un anfratto si è parcheggiata la prima roulette, poi presto raggiunta dalle altre. È un insediamento ben nascosto, non è facile vederlo, ma è facile incontrare le famiglie e soprattutto i bambini, nelle strade del quartiere. E sono tutti – ripeto – bambini non registrati all’anagrafe: sappiamo bene cosa significhi questo. Spesso significa sfruttamento, a volte tratta, sempre illegalità e abbandono. I bambini non registrati facilmente scompaiono…
Quali interventi dovrebbero essere messi in atto, dal suo punto di vista?
Gli interventi sono possibili ed esistono nei campi rom, ma non qui: semplicemente, bisogna prevenire e vietare che queste situazioni si creino. Come un turista tedesco non può parcheggiare il suo camper in piazza e dormire lì, così queste roulotte non possono stabilirsi in queste zone.
Sta dicendo che non può esserci un intervento sociale?
Sì, trovo strumentale la polemica con le associazioni e le parrocchie, le quali presenti, più o meno efficacemente, nei contesti in cui è possibile esserlo: contesti riconoscibili, esistenti per così dire. Ma qui la situazione è diversa e l’intervento sociale non è possibile: serve un intervento istituzionale. Le forze dell’ordine ci sono e fanno il proprio lavoro, sono sempre in giro e io le incontro spesso, quando giro nel quartiere: ma bisogna intervenire prima che queste bolle si creino: entrarci dopo è davvero molto complicato.
Qual è quindi il suo appello (anche al mondo dell’informazione), dopo quello che è accaduto?
Innanzitutto, per quanto riguarda l’informazione, spero che non accada ciò che sempre avviene in questi casi: tanti riflettori e un gran parlare dopo la tragedia e poi di nuovo buio e silenzio. Alle istituzioni chiedo semplicemente che facciano rispettare la legge e non permettano che si creino situazioni come queste, purtroppo più diffuse di quanto non crediamo. Il mio appello è che quanto accaduto diventi l’occasione per riflettere su una politica di periferia intelligente, con investimenti adeguati ed efficaci, che vadano a finanziare in modo strutturale attività, educatori, opportunità. 5 mila euro l’anno spesi in attività sporadiche non servono a nulla, quando le nostre polisportive sono tutte con l’acqua alla gola. Investire più risorse per le periferie significa risparmiare quei costi sociali molto più alti che bisogna sostenere quando mancano interventi efficaci. Il lavoro sociale porta frutti incredibili negli anni, ma servono risorse adeguate. Ripeto: abbiamo bisogno una politica di periferia intelligente.
Nella foto La Presse il campo rom di via Selvanesco a Milano
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