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Politica & Istituzioni

«Il quartiere a luci rosse? Non è la soluzione»

Vita intervista suor Rita Giarretta, donna da sempre in prima linea nella guerra alla tratta, sulla proposta di De Magistris, che pensa di introdurre nella città partenopea i quartieri a luci rosse

di Chiara Caprio

Oltre diciassette anni di servizio fanno di suor Rita Giarretta e della comunità Rut di Caserta un pilastro nella lotta alla tratta e nel sostegno alle donne. Diciassette anni di esperienza che più volte nel tempo l’hanno portata ad esprimersi pubblicamente sul tema scottante della prostituzione. Un tempo fu la lettera aperta sul caso Ruby, oggi invece è il caso Napoli che riaccende il dibattito in Campania. E dopo aver raccolto i pareri delle associazioni del territorio napoletano, Vita ha chiesto a suor Rita il suo parere sul così detto “quartiere a luci rosse”.

Suor Rita Giarretta premiata dal Presidente della Repubblica

Che cosa ne pensa della proposta del sindaco Luigi de Magistris: creare delle zone di Napoli per la prostituzione?
Dico subito che non bisognerebbe uscire con queste boutade estive in un periodo già molto caldo. Evitiamo anche di dire che la prostituzione è un lavoro come tutti gli altri, perché non è così. Non voglio giudicare le scelte delle persone, ma oggi come oggi la prostituzione di strada è fatta sopratttutto di sopraffazione, violenza e schiavitù. E non possiamo ignorare questa realtà. In strada non c’è libertà, e quindi rilancio io con una domanda: lo zoning risolve questo problema? O stiamo semplicemente creando una zona franca che garantisce solo assistenza sanitaria e null’altro?

Quindi il problema vero è che la maggioranza delle propostiute oggi non è libero di scegliere?
Io posso dirlo con tranquillità, perché abbiamo sempre la casa piena di queste ragazze. Proprio oggi, tra poco, arriveranno altre due donne nigeriane, uscite dalla strada. E non hanno scelto questo lavoro. Anche se oggi c’è più consapevolezza attorno al fenomeno della tratta, queste ragazze si trovano in una condizione di schiavitù. Senza contare che questa crisi, questa enorme crisi, sta aprendo scenari ancora diversi per le donne italiane, non solo per le straniere. Oggi le donne hanno il problema di mettere in tavola il pane, di pagare la scuola ai figli, e noi sappiamo che alcune di loro decidono anche di vendere il proprio corpo per avere i soldi sufficienti. Questa è una crisi che sta devastando il corpo delle donne. E non si possono fare questi discorsi colpevolizzando, perché c’è già un dramma dentro queste storie.

Questo apre tutto un altro capitolo, quello della povertà diffusa. Ma il ruolo del comune in quanto istituzione come lo vede?
Il ruolo del comune è molto ambiguo in questo momento. Io come donna, come religiosa e come consacrata, non lo capisco. La legge oggi fornisce tutti gli strumenti necessari, ma soprattutto dice chiaramente che il ruolo delle istituzioni parte dal dialogo, dal confronto. Se ci sono associazioni che la pensano diversamente, è giusto aprire un tavolo di discussione con chi, come noi, si occupa di queste donne. Non dobbiamo isolarci o lasciare le associazioni isolate. Anche perché noi apriamo e rilanciamo con un’altra riflessione: l’aspetto educativo e culturale non è altrettanto importante dello zoning urbano? E quindi, quali relazioni umane tra uomo e donna stiamo costruendo con questo modello? E’ una sfida impegnativa, ma non bisogna tirarsi indietro e lanciare solo proposte immediate.

Immagino sia difficile spiegarlo in poche parole, ma quali soluzioni propone allora?
Per prima cosa dico che, sulla questione della relazione uomo-donna, mi baso sugli incontri che ho avuto con molti giovani, che sono assetati di conoscenza e si interrogano sul senso dell’affettività e della corporeità. Quindi dico che, per quanto sia faticoso, bisogna dare loro delle risposte di senso e sostanza. Inoltre, insisto sull’importanza di dare valore agli strumenti legislativi esistenti, come l’articolo 18 per la protezione delle vittime di tratta. Bisogna portarlo all’attenzione dell’opinione pubblica e rispondere con iniziative concrete ed efficaci, che tocchino davvero il nodo del problema. E non la superficie.

Insomma, l’articolo 18 e anche la legge Merlin sono ancora attuali.
Io credo di sì. Credo che la legge Merlin rispecchi in modo molto attuale quelli che sono gli strumenti necessari per rispondere ai bisogni della persona, e della donna nello specifico. Poi aggiungo che non bisogna giudicare le donne che scelgono di prostituirsi, ma che non si può nemmeno ignorare che la prostituzione di strada oggi sia fatta in larga maggioranza di donne vittime di tratta. Ed è una fetta così ampia che non possiamo legalizzare tutto il sistema che ci ruota attorno, dare loro assistenza sanitaria, ma non colpire lo sfruttatore o il trafficante. Ci sono anche tante minorenni. Come facciamo con loro?

Ecco, quali risposte concrete ricevete dalle istituzioni su questi punti?
Tutto il contesto economico, la mancanza di lavoro e integrazione rende molto più difficile il nostro e il lavoro delle istituzioni. I percorsi nelle comunità di accoglienza sono diventati sempre più lunghi, perché manca, da parte delle istituzioni, il sostegno alle donne e alle ragazze madri. C’è un vuoto enorme attorno, che ha creato molta stanchezza tra le associazioni. Se non ci sono territori in grado di offrire servizi concreti di sostegno, allora come possiamo farci carico di queste donne e liberare quelle che sono ancora schiave? Ovviamente i comuni dicono che non ci sono soldi. Questa è la motivazione principale. Però vede, questo non permette a molte associazioni di pagare i giusti stipendi a operatori e dipendenti, per esempio. So che a volte i soldi vengono dati a progetti e tolti ad altri, e questo mi fa soffrire. È per questo che io dalle istituzioni mi aspetto: zero sprechi, zero frammentazione, la capacità di individuare i servizi validi e su quelli investire.


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