Verso il referendum
Il rapper Tommy Kuti, diventato italiano a 13 anni, con la sua musica lotta per i diritti di tutti
Classe 1989. Nato in Nigeria, cresciuto in Italia, laureato in Gran Bretagna. Tommy Kuti è un pioniere dell’afrobeats nel nostro Paese. «Io sono stato naturalizzato da adolescente ma mi ricordo le file in questura da piccolo e quando dormivamo in macchina la notte prima per evitarle», racconta. «C’è gente che è italiana e non ha la cittadinanza, c’è gente che non ha la possibilità di sentirsi parte del Paese in cui è cresciuta. Questa lotta è la mia priorità»

Tolulope Olabode Kuti, aka Tommy Kuti, nato in Nigeria, cresciuto in Italia, laureato in Gran Bretagna è un pioniere dell’afrobeats in Italia. Da quando venne scoperto da Fabri Fibra nel 2017 non si è più fermato.
Ed è stato fortunato perché quando ha preso la cittadinanza aveva tredici anni, ma da artista, rapper, scrittore, autore e ora anche attore è un artista poliedrico che non si è mai dimenticato degli altri che sono rimasti indietro. «Un giorno un mio amico ha giurato (sulla Costituzione, ndr) e io gli ho detto: “dai, andiamo a festeggiare”. E lui giustamente furioso, mi ha risposto: “ho 35 anni e non c’è niente da festeggiare”. Io sono stato naturalizzato da adolescente ma mi ricordo le file in questura da piccolo e quando dormivamo in macchina la notte prima per evitarle», ci racconta.
Qualche giorno fa in un reel Tommy Kuti ha dedicato alla cittadinanza parole importanti: «Tante persone non si rendono conto che questa legge non è solo ingiusta per chi la subisce ma danneggia la società perché la ricchezza culinaria, artistica, poetica dell’Italia è legata al fatto che molta gente è passata da qua e ha lasciato qualcosa». Siccome Tommy Kuti, classe 1989, è anche un giocoso ed efficace comunicatore, fa tanti video, talvolta per criticare il sistema dell’industria musicale dove gli afrodiscendenti sono pochi e gli italiani si appropriano delle tematiche culturali che non gli appartengono. «Tantissimi rapper italiani dicono di sentirsi neri dentro o usano il termine N word (per sostituire la parola nigger, ndr) ma io lo trovo ridicolo. Ci sarà più giustizia sociale quando a salire sui palchi saranno tanti artisti black nati e cresciuti in Italia. Non avere la cittadinanza è un’ingiustizia, ma lo è anche l’esclusione degli artisti con background migratorio dalle grandi major». In #Afroitaliano che lo ha reso famoso, rappa con parole delicate: «La nostra nazione sta scritta nel cuore», ma poi si fa stendere sul lettino dello psicanalista alla mercé del professor Fabi Fibra, il primo grande nome della musica rap a scoprire le potenzialità di questo afroitaliano con il forte accento bresciano, malgrado abbia sul passaporto tutti i timbri del mondo. Lui che ha rappato questi versi “Io voglio lo ius soli / perché lo Stato ci lascia sempre più soli/ qualche anno fa ha fatto un campagna sui social #prendiamolaparola per dare voce alle seconde e nuove generazioni. Ha scritto pure un libro sulla sua storia: Ci rido sopra. Crescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini, pubblicato da Rizzoli nel 2019. Un libro in cui ha raccontato cosa voglia dire nascere in Nigeria e vivere da giovane adolescente a Castiglione dello Stiviere, a cavallo tra Mantova e Brescia (e avere una fidanzata figlia di un leghista).
A VITA dice: «Io a Milano vivo nella mia bolla urbana musicale internazionale dove sembra di essere a Springfield (nella città immaginaria dei Simpson, ndr). Anche io vivo in una città immaginaria dove è impossibile sentirsi fuori posto e si mescolano tantissime persone di tutti i colori, tutto è stilosissimo e mi sento protetto, ma ogni tanto mi capita di prendere la metro e mi scontro con la realtà degli anziani diffidenti che si stringono la borsa per timore di essere derubate». Durante la pandemia, per raccogliere e diffondere testimonianze sulle questioni razziali in Italia, Tommy Kuti ha lanciato sui social l’hashtag #prendiamolaparola, che ha avuto un grande eco perché in tanti ci hanno messo la faccia per dire cosa pensavano, cosa subivano. Allora diceva: «Penso che le coscienze di molti ragazzi di seconda generazione si siano svegliate. C’è gente che è italiana e non ha la cittadinanza, c’è gente che non ha la possibilità di esercitare il proprio lavoro, c’è gente che ha tutte le strade sbarrate, c’è gente che semplicemente non ha la possibilità di sentirsi parte del Paese in cui è cresciuta. Questa lotta è la mia priorità».
Ma ora le nuove generazioni hanno preso più di una parola, si sono prese il palcoscenico, ottenuto un referendum e c’è Ghali che sui social manda messaggi e lettere per sostenere la loro battaglia. «Io credo che questo Paese non solo abbia bisogno della ricchezza culturale delle generazioni con tante origini», conclude Tommy Kuti, «ma in generale quella di tutti i giovani discriminati dagli anziani che non vogliono mollare l’osso, che sono ostili, non vogliono uscire dalla stanza dei bottoni, altrimenti anche l’Italia delle istituzioni cambierebbe e non ci sarebbero queste ingiustizie legislative».
Credit foto Tommy_Kuti_©Karim_El_Maktafi
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