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Famiglia & Minori

Il razzismo si mangia a tavola

Gastronomia. È a Milano il ristorante più mondiale d’Italia. Dove si assaggiano piatti di tutti i colori

di Cristina Giudici

La leggenda dei tre diamanti di via Macerata sta facendo il giro della città. Ma per vederli brillare bisogna conoscere qualche piccolo segreto. Si deve aver voglia di vedere pizze giganti volare, desiderare profumi di oriente e sognare sapori forti d?arabia; saper ascoltare nenie egiziane e aprire il palato insipido a nuove e forti esperienze, ma soprattutto bisogna saper ridere con il cuore. Non c?è altra selezione che quella naturale e l?accortezza di prenotare prima perchè al primo ristorante multietnico nato a Milano, il ?Three Diamonds?, c?è sempre tanta gente. Ha aperto i battenti solo un mese fa e ogni sera ci viengono persone di tutti i tipi : italiani e scozzesi, americani e arabi; indiani e anche ?padani?. Cantanti come Betty Curtis o funzionari d?ambasciata; signore di mezza età e viandanti, gente molto normale e gente anche molto strana come la Wilma de Angelis e la sua troupe televisiva. Danza del ventre e couscous Si inizia con una danza del ventre di marca egiziana (con coinvolgimenti molto italiani) e si finisce con lo spettacolo della pizza gigante lanciata in aria e, mentre la musica snoda i suoi ritmi melodiosi e sensuali, i cibi vengono cotti e preparati in bella vista. All?insegna della trasparenza. Carne shoarma per il kabab, buffet di cucina eritrea e singalese; sapori piccanti e focacce esagerate piene di verdure e spezie di ogni genere; dolci che ricordano la smodatezza palermitana e l?immancabile cous-cous arabo. E poi pizza, molta pizza, fatta con la farina di soia dalla sapiente mano di un egiziano tutto particolare: il pizzaiolo acrobata Emad Nazir. Emad ha quarant?anni e baffi mediterranei. È arrivato a Milano ventun anni fa dalla città da Assiut, in Egitto. Ha fatto un po? di tutto: lavapiatti, aiutante cuoco, ristoratore professionista e due figli, nati in Italia. Poi è diventato pizzaiolo acrobata. Due anni fa, su un palco partenopeo, si è guadagnato il premio per la pizza più grande del mondo (due metri di diametro) e qualche insulto da parte di napoletani invidiosi. Distribuisce rose gialle, bianche e rosse alle signore presenti ed elargisce sorrisi e abbracci agli altri. Per levigare tre diamanti grezzi si è unito a due amici con cui, per capirsi, deve parlare un simil-italiano: il primo è Roy Gangabode, dello Sri Lanka. In passato ha percorso le rotte marine descritte da Conrad, poi è arrivato in Italia, ha lavorato come muratore ed è diventato dirigente sindacalista. Al ?Three Diamonds? intesse le strategie sociali del club. Poi c?è Derres Berhane, eritreo, anche lui arrivato vent?anni fa, che siede alla cassa come se fosse su un trono: è l?amministratore. Tre storie di immigrazione diverse, unite da un?amicizia di vecchia data e un sogno che è costato mesi di ansie, aspettative e soprattutto tanti debiti: l?investimento del ristorante club Srl ?Three Diamonds?, infatti, ammonta a due miliardi. Campione mondiale di pizza Emad viene chiamato Antonio forse perché fa il pizzaiolo. È arrivato a Milano per migliorare la sua vita e riuscire a portare la famiglia in Italia. Oggi Antonio e i suoi fratelli hanno aperto sei ristoranti. Per lui la felicità è vivere fra cibi diversi che si cucinano sotto gli occhi di tutti, generano curiosità ed entusiasmo e gli scaldano il cuore. Felicità per Emad è vedere la carne cuocere sotto gli occhi degli italiani e saperli contenti. «Un giorno mi sono trovato senza un pizzaiolo che, da un giorno all?altro, mi ha piantato in asso. Mi ha fatto così arrabbiare che ho deciso di imparare a fare le pizze da solo ed è stata subito una passione; ho iniziato a fare pizze con la pattuglia acrobatica milanese e sono andato fino a New York. Mi hanno anche invitato al programma televisivo ?Trenta ore per la vita? ». Il razzismo Emad l?ha visto solo a Napoli, dove non hanno voluto accettare i suoi due metri di pizza. «Io ho superato gli italiani nell?arte di fare la pizza, perché non volete accettarlo?» ride. «Per aprire il ?Three Diamonds? ho dovuto indebitarmi fino al collo, la banca mi viene a bussare alla porta di casa, ma sono sicuro che ce la faremo. Non mi interessa guadagnare, ma riuscire a tenere aperto questo locale. Credo che sia l?unico in Italia, basta guardarsi in giro. Lei hai mai visto tante razze diverse in uno stesso posto?». La sua Milano è una citttà che lavora e fa lavorare, e lavorare anche 15-16 ore al giorno, e non capire perché gli italiani vogliono il giorno di riposo. Ma Milano è anche sperare di aiutare gli altri immigrati, come qualcuno un giorno di tanti anni fa ha aiutato lui, quando è arrivato qui e non aveva neanche un tetto sotto cui dormire. Una presenza nel quartiere Roy, il singalese, ha una faccia di chi ha navigato molto ed è stato in silenzio per lunghi giorni, se non mesi. Per riuscire a parlare deve ridere per un po?, alzarsi, sparire e riapparire di nuovo. È svelto e minuto, dalla cima delle scale conta gli avventori, non gli sfugge nulla. È lui a tenere i contatti con il quartiere e con le associazioni. Spera di poter realizzare progetti per immigrati ed anziani da ospitare nel club di giorno, e sogna di poter devolvere l?incasso di qualche serata a delle associazioni. «Nel sindacato avevo fatto carriera, ma dovevo sempre guardarmi le spalle o avere un padrino: ero stufo e volevo cambiare vita, modo di pensare; sono stato fermo troppo a lungo. Non ho mai fatto il ristoratore e mi affascina questa sfida. Vogliamo qualificare la presenza degli immigrati, essere un punto di riferimento nel quartiere e non limitarci più a fare solo politica verso gli immigrati. Siamo parte di questa città da troppo tempo per continuare a stare nel cantuccio. Abbiamo un progetto per la terza età e contatti con varie associazioni, vorremmo anche lavorare con alcune comunità di stranieri, quelle serie. Qui intanto ci sono ben undici dipendenti italiani e stranieri in regola». E queste non sono promesse da marinaio. Derres dirige il traffico intenso alla cassa, scrupolosamente. Ha i capelli ricci e argentati. Forse un po? stupito dall?affluenza inaspettata di questo primo mese di attività, ripercorre le tappe della sua Milano vent?anni dopo il suo arrivo. In mezzo, in Eritrea, c?è stata una guerra di liberazione di cui non vuole parlare e che liquida con un gesto della mano dicendo: «Per il Paese in cui si nasce c?è un amore che nessuno può cancellare e quindi con lo spirito sarò sempre con i miei fratelli». In mezzo, poi, ci sono stati mille mestieri: interprete, venditore ambulante, infine amministratore dell??Asmara?, il primo ristorante eritreo meneghino, punto di riferimento della numerosa e compatta comunità eritrea a Milano. Vent?anni di una città che lo ha accolto a braccia aperte e verso cui prova una gratitudine immensa: «Milano è il mio paese. Milano è una città molto originale, dove c?é spazio per tutti», dice guardando con orgoglio il locale come se stesse osservando uno sconfinato orizzonte. «Guarda chi lavora con noi: italiani, indiani, cinesi ed egiziani. Rappresentiamo il mondo in piccolo, qui se ne vedono di tutti i colori. Arriva gente di tutti i tipi, entusiasta, con voglia di sapere, conoscere e divertirsi; gente che ci incoraggia ad andare avanti». A fine serata, si esibisce Emad. Balla al centro del locale, avvolto nell?impasto della pizza che si dilata sui ritmi di musica orientale senza rompersi. Per Antonio-Emad la felicità è il suo mantello che diventa sempre più grande e fa impazzire gli avventori. I clienti, mescolati nella confusione dei mille piatti e di un pizzaiolo con aspetto da napoletano che viene dall?Egitto e ha più successo di Omar Sharif, iniziano ad applaudire per la pizza che diventa sempre più grande e non si vuole rompere. Anche questa forse è multietnicità: una squisita, allegra confusione. O la musica che quando esci dal ?Three Diamonds? ti scorre ancora nelle vene.


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