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Il regista: «Una storia che mi ha conquistatobPerché è l’impensabile che diventa realtà»

di Daniela Verlicchi

P er Giulio Manfredonia «si può fare» è molto più che slogan. È l’impensabile che diventa realtà, la follia che si trasforma in logica. Quello che è successo con la legge Basaglia 30 anni fa. E che succede ogni giorno in tante cooperative sociali. Manfredonia ha tentato di raccontarlo nel suo Si può fare , fuori concorso al Film Fest di Roma, attraverso la storia di un gruppo di ex pazienti psichiatrici che, guidati da un sindacalista fantasioso interpretato da Claudio Bisio, si mettono a montare parquet.
SocialJob: Una storia vera?
Giulio Manfredonia: Abbiamo preso spunto dall’esperienza di Noncello, una coop sociale di ex pazienti psichiatrici di Pordenone che negli anni 80 ha avuto un tale successo da esser chiamati a lavorare anche all’estero. Proprio come nel film…
SJ: Tutto nasce da un articolo di giornale.
Manfredonia: Sì, su Noncello avevo letto un pezzo su un settimanale nazionale. E da lì, assieme a Fabio Bonifacci (lo sceneggiatore del film, ndr ), ho iniziato una ricerca nel mondo del disagio mentale che mi ha condotto al Centro di igiene mentale di Cesano Maderno, in provincia di Milano.
SJ: A fare cosa?
Manfredonia: Dovevamo entrare in quel mondo per raccontarlo con sincerità. Nel film ci sono molti personaggi che abbiamo conosciuto a Cesano: il “Niki Lauda” che guida piano e Goffredo, ad esempio. Lì ho scoperto che nei centri di igiene mentale non viene meno il desiderio di fare l’amore. Per questo nel film c’è tutto un capitolo sul sesso.
SJ: La critica ha definito i suoi attori «matti da Oscar». Come li avete trovati?
Manfredonia: Innanzitutto ho scelto dei professionisti (e non malati o ex malati psichiatrici) perché il mio è un film e non un documentario. E sono andato a cercarli nei teatri e nei meandri del mondo cinematografico perché non volevo volti noti: gli spettatori dovevano entrare in un mondo del tutto sconosciuto.
SJ: E come li ha formati?
Manfredonia: Il training è durato quasi un anno e mezzo. Con l’aiuto di mia sorella Maria Grazia, che è psichiatra, abbiamo studiato le cartelle cliniche dei personaggi che ci aveva scritto lei a partire da casi reali.
SJ: E Bisio?
Manfredonia: È entrato in scena dopo, quando abbiamo iniziato a girare. Ha conosciuto 11 matti, non 11 attori.
SJ: I personaggi più sorprendenti?
Manfredonia: La figura di Fabio, il “ragioniere pavido” interpretato da Pietro Ragusa. È il simbolo del rapporto con il potere. Ragusa è riuscito a rimanere perfettamente in equilibrio tra la vigliaccheria e la presa di coraggio. E poi c’è Carlo, un personaggio poetico che sta sempre alla finestra ad aspettare gli extraterrestri.
SJ: Insomma, voleva raccontare una favola o la realtà?
Manfredonia: Sono di quelli che credono che le favole possano diventare realtà. Per la legge Basaglia è stato così.


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