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Cooperazione & Relazioni internazionali

Il ruolo dell’amata Europa

Il dibattito in corso in occidente, ed in Italia in particolare, è focalizzato su armamenti, sanzioni, energia, Nato, Turchia, Cina. Sono rarissime le volte in cui si sente parlare del sogno di libertà di questo popolo, al di qua dell’ultima frontiera polacca. Eppure la storia dell'Ucraina e di piazza Maidan raccontano molto di più. C’è una trama coerente che si dipana sotto la statuta dorata di piazza Maidan, dall’Holomodor alla battaglia di Hostomel

di Angelo Moretti

L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera è un capolavoro indiscusso della cultura europea di fine ‘900. I turbamenti amorosi ed esistenziali dei suoi personaggi, tanto tragici quanto ironici, sono lo specchio dei drammi esistenziali di una generazione, quella che ha combattuto la primavera di Praga, perdendola. E non è un caso se in un suo piccolo saggio del 1967 (“Un occidente prigioniero”, edito da Adelphi) il drammaturgo paragona l’intero centro-est dell’Europa ad un amante tradito: “ma se vivere significa esistere agli occhi di chi amiamo, l’Europa centrale non esiste più. Più esattamente: agli occhi dell’amata Europa, è solo una parte dell’impero sovietico, e nient’altro”. Ed il motivo di questo oblio è presto spiegato: i popoli centroeuropei non sono certo dei vincitori, “sono inseparabili dalla Storia europea, senza di lei non potrebbero esistere, ma di questa Storia sono solo il rovescio, le vittime e gli outsider”;

Rileggo questo piccolo saggio da una stanza dell’hotel Ukraina, mentre fisso le spalle di quella dea dorata che sovrasta la piazza principale di Kiev, Maidan. L’alba è silenziosa, la vita frenetica della capitale risente degli attacchi di droni dei giorni scorsi, eppure quelle pagine sembrano urlare. Il rischio degli ucraini è ancora maggiore dei loro predecessori: morire per l’Europa senza essere nè visti nè creduti da buona parte di questa società a cui sognano, disperatamente e tenacemente, di appartenere.

Il dibattito in corso in occidente, ed in Italia in particolare, è focalizzato su armamenti, sanzioni, energia, Nato, Turchia, Cina. Sono rarissime le volte in cui si sente parlare del sogno di libertà di questo popolo, al di qua dell’ultima frontiera polacca.

Gli ucraini di oggi sono i nipoti di quei contadini che pur di non collaborare con le politiche totalitarie staliniste si lasciarono morire di fame; sono i figli di quelle donne e quegli uomini che il 22 gennaio nel 1990 si unirono fisicamente per 700 chilometri, da Ivano-Frankivsk a Kiev, per affermare la loro indipendenza in seguito al crollo dell’URSS; sono gli stessi che a novembre del 2013, di fronte ad una improvviso dietro-front del premier Yanukovich sull’accordo di libero commercio con la UE, occuparono per sei mesi Maidan, resistendo al freddo ed alle cariche della polizia di governo, sopportando cento morti, fino a provocare le dimissioni del presidente, che riparò in Russia, e celebrare nuove elezioni democratiche. Il capo della missione speciale di monitoraggio in Ucraina dell’OSCE, Ertugrul Apakan, affermò che quelle elezioni avevano avuto “il merito di aver creato una nuova atmosfera nel paese”, ma neanche queste elezioni bastarono al popolo degli scettici da divano, pronti ad affermare che in realtà era “un colpo di stato”, nonostante le evidenze dell’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Nel 2018 sale alla maggioranza del parlamento una nuova fazione politica, molto simile al nostro Movimento 5stelle, il cui impegno principale era la lotta alla corruzione ed anche questa volta “gli esperti di est europeo”, dai loro salotti sicuri, sono pronti a giurare che Zelensky non sia nient’altro che un burattino voluto dalla Nato.

Non ci si dà pace tra i complottisti, come se questo popolo dovesse pagare pegno per aver vinto le sue battaglie per la democrazia, per aver osato arrivare dove l’Ungheria e la Cecoslovacchia non riuscirono.

I racconti che si raccolgono qui sul campo, da est ad ovest, da nord a sud, sono sempre gli stessi e tutti confermano: il popolo ha reagito compatto, chiunque fosse stato il presidente di turno, gli ucraini avrebbero agito esattamente come hanno fatto e come farebbero ancora, anche senza governo il popolo avrebbe autoorganizzato la resistenza armata. C’è una trama coerente che si dipana sotto la statuta dorata di piazza Maidan, dall’Holomodor alla battaglia di Hostomel. Chi parla solo delle nascoste trame di potere non vuole prendere in considerazione “quel potere dei senza potere”, della gente comune, di cui scriveva un altro drammaturgo ceco, poi divenuto presidente, Havel

Ora siamo in una epoca storica caratterizzata da fattori inediti, il mondo non è più diviso in due blocchi contrapposti, il dilemma è diventato “trilemma”, come lo ha definito il professore Zamagni: un equilibrio precario tra Ovest, Est e Sud Globale. Un trilemma in cui il modello americano è in una crisi così grave da “aprire ad una transizione egemonica” (Limes), in cui avanza la forza cinese, proprietaria terriera di buona parte del continente africano, e dove il “russky mir”, il mondo spirituale della sovranità russa, ha dichiarato apertamente di volersi imporre in una porzione più larga del pianeta. Siamo nell’epoca in cui abbiamo celebrato il primo divorzio non consensuale dall’Unione Europea, la Brexit, ed in cui la frattura con il gruppo dì Visegrad sembra inasprirsi, sui temi dell’accoglienza dei migranti e dei diritti civili.

In questo scenario così complesso, invece di praticare un’ideologia della sfiducia, non varrebbe la pena costruire vere reti con la società civile ucraina, credere all’autenticità del loro sogno europeista e soprattutto essere accanto a questo popolo per costruire insieme il destino di una nuova Europa?


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