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Il sordomuto che aspettava Godot

Handicap d’avanguardia. Fra arte e terapia: quando il malato mentale sale sul palcoscenico

di Alessandro Sortino

Bobò appare dal fondo del teatro, durante lo spettacolo ?Barboni?, inventato e diretto da Pippo del Bono (e presentato ai festival di Asti e Rho), e avanza verso il palco. Dal buio della sala alle luci della ribalta. Cammina, o danza? Cammina e danza. Ha una trombetta in mano. È sordomuto eppure emette dei versi, che imitano la tromba. Sono versi gutturali. Ciò che le parole furono, prima di nascere. Compie gesti minimi, leggeri e solenni insieme. Come un grande attore. Perché Bobò questo è: un attore. Ma sulla sua cartella clinica c?è scritto ?microcefalo?. Una diagnosi e una sentenza. La cartella clinica è nell?archivio dell?ex manicomio di Aversa, vicino Napoli, dove Bobò ha vissuto per trentacinque anni, da quando ne aveva venticinque a quest?anno che ne ha compiuti sessanta. Era un giorno di dicembre quando nel manicomo di Bobò capitò la compagnia di Pippo Del Bono per un seminario di recitazione. Del Bono, regista, autore teatrale e attore tra i più eccentrici e apprezzati, non voleva neanche metterci piede. Stava male, una grave malattia gli aveva impresso un?ombra nel cuore. La malattia era guarita ma l?ombra era rimasta, e il manicomio sembrava un luogo fatto apposta per infittirla. Ci andò per debolezza, o forse per obbligo. Mischiare il teatro alla vita: non tutti credono in queste operazioni. Si dice: la linea che distingue la vita dal teatro deve rimanere visibile. Ma quando comparve Bobò a quel seminario e cominciò a danzare con un oggetto (non ci sente Bobò, ma danza con precisione e grazia), apparve chiaro a tutti che Bobò riconosceva quella linea. Lui stava recitando. E stava recitando partendo da quello che per Del Bono è il punto di arrivo della formazione di un attore: il teatro orientale, con i gesti che fermano il tempo e lo compiono. Il teatro come liturgia. L?uomo dà vita a un oggetto. L?oggetto vivendo mostra il mistero della materia. Il gesto essenziale libera, nella leggerezza, quel mistero e lo rende poesia. ?Affidato? alla compagnia teatrale Del Bono capì che Bobò sarebbe diventato il protagonista del suo spettacolo, un suo allievo e il suo maestro. Ora recita accanto a lui, e vive con la compagnia che ne ha ottenuto l?affidamento, a Loano, sulla riviera ligure. Questa è già la fine della storia. Ma di quale storia? La storia di Bobò, il matto che balla, la storia di Pippo Del Bono, l?attore che soffre, la storia della loro amicizia, la storia della compagnia, dei suoi attori ?storici? e di quelli nuovi; o la storia dello spettacolo ?Barboni? che tutte queste storie contiene? Sono come matrioske, in realtà queste storie. Ne apri una e ne trovi un?altra, che poi è la stessa. Ritorniamo alla prima, la più grande: era la fine dell?anno passato, Del Bono soffriva per una depressione conseguenza di una malattia grave. L?unica via che trovò per guarire fu il teatro. Il suo apprendistato di attore si era svolto nel celebre Odin Teatret, in Danimarca, diretto da Iben Nagel Rasmussen. Era un luogo dove s?imparava a recitare partendo dai servizi più umili per la compagnia, guidando il pulmino o spazzando la sala del teatro. Non c?è interruzione tra il gesto reale e il gesto teatrale. Si deve comprendere il primo per liberare il secondo. Così, per guarire Del Bono capì che doveva ritornare alla realtà. E poi da quella passare al teatro. Accadde una sera: davano in tv ?I Pagliacci? di Fellini, e lui sentì che in quella leggerezza, che nasce dal dolore, c?era una via di salvezza. Cominciò a girare le strade e fece i suoi incontri, e quegli incontri divennero il suo spettacolo e la sua guarigione. Incontrò un poliomelitico dalla nascita, Armando (38 anni), che scriveva storie e le raccontava ai passanti: per esempio la storia di un cieco innamorato che chiede al suo amore di riavere la vista, la ottiene, e viene presto sopraffatto dalla nostalgia del buio. E lo domanda indietro. Il paraplegico adesso è un attore dello spettacolo, sale sul palco con le sue grucce e sembra il reduce di una battaglia. Racconta al pubblico la storia del cieco. E gli specchi si rincorrono senza prendersi. Poi Del Bono incontrò Puma, un cantante rock genovese, dall?aspetto aggressivo e dalla voce ruggente. Ora Puma nello spettacolo è una specie di corvo che urla la sua solitudine, pianta girasoli e canta: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono fiori». La valigia del barbone genovese Nello spettacolo non mancano gli attori ?storici? della compagnia, che da sempre costituiscono il mondo teatrale di Del Bono: Pepe Dolbedo, un attore esule che dovette fuggire dall?Argentina per scampare alle persecuzioni della dittatura, e Gustavo Giacosa, che interpreta figure dall?ambiguità conturbante in bilico miracoloso tra i due sessi: in ?Barboni? recita un commovente discorso funebre, in memoria di un clown morto. E ancora altri artisti: due acrobate da circo finiscono per inscenare un improbabile incontro di lotta libera, una ballerina buffa, dall?altezza smisurata, qualche pagliaccio. Su tutti, personaggi veri e inventati, aleggia la figura di Bernardo Quaranta, un barbone genovese morto qualche anno fa, a cui lo spettacolo è dedicato. Morì in ospedale e prima domandò che la sua valigia (la portava sempre con sé) fosse consegnata alla sorella, che lo sapeva disperso, quarant?anni prima, nella campagna d?Africa. Dentro la valigia c?erano migliaia di fogli, tovaglioli di carta, pezzi di giornale, e su ognuno di essi una poesia. Le poesie di Quaranta sono uno dei testi dello spettacolo: «Sogno di vivere una vita bella, vivo bene una vita brutta». Non è un caso che dopo le poesie sul palco arrivi Bobò. Del Bono, che è una specie di gigante, lo prende per mano. Lui, Bobò, si presenta così: è piccolo, ha il corpo minuto, il volto scavato, gli occhi da scugnizzo, i capelli neri e grigi. Assomiglia a Totò, dicono, è una sorta di Totò quintessenziale. Pepe legge il testo di ?Aspettando Godot? di Beckett, Pippo e Bobò sono Vladimiro ed Estragone. Aspettano Godot, e senza parlare, mimano l?attesa in cui la vita consiste. Mai, hanno scritto i critici, Beckett è stato recitato in maniera così convincente. «Ora Bobò ha le chiavi di casa» Del Bono, l?autore e il regista, arriva al gesto teatrale – al testo teatrale – partendo dalla realtà. Bobò, l?attore, è arrivato alla vita dal teatro. La tromba che porta in scena, la vuole con sé anche durante il giorno. Una tromba che non suona, che va imitata per emettere squilli, è il simbolo del rapporto ironico che lui ha instaurato col mondo. «Ho visto Bobò trasformarsi», racconta Del Bono, «durante i viaggi per raggiungere i teatri dove recitiamo, oppure nella vita di tutti i giorni qui a Loano. Prima si comportava in maniera egoistica, aveva imparato a chiedere e non la smetteva più. Poi a poco a poco ha voluto la sua autonomia. Adesso ha le chiavi di casa, si apparecchia la tavola da solo, per esempio. Quando ci sono dei bambini li fa giocare. È un bambino che all?improvviso diventa nonno. Lui non era mai uscito dal manicomio, da trent?anni. Ogni oggetto, ogni albero o animale, è stata una scoperta per lui, e per noi che la vivevamo con lui. E noi della compagnia siamo intimoriti spesso, perché un artista così non l?abbiamo mai conosciuto». Il tempo della scena e quello della vita si mischiano. Si confondono ma non del tutto. È già troppo? Qualcuno all?indomani dell?anteprima (a Napoli, nel teatro diretto da Sergio Martone, il 12 marzo scorso) aveva polemizzato. Sergio Piro (membro di ? Psichiatria democratica?, in prima fila nella lotta ai manicomi) rilasciò al Corriere della Sera queste dichiarazioni: «Per una persona come Bobò l?esperienza in palcoscenico non sarà né più né meno che una gita fuori porta, e potrà realizzare in lui attese che non si realizzeranno mai». Dunque, al pari di Godot, anche la libertà, la felicità potrebbero non arrivare mai per Bobò, come per tutti, e rimanere un sogno. C?è una risposta possibile, a questo dubbio, scritta a penna su una salvietta da bar: «Faccio sogni brutti, vivo senza sogni: sogno di vivere una vita bella, vivo bene una vita brutta». Teatro e handicap C’è anche un festival Il teatro come terapia. E con grandi successi artistici. Bobò, star della compagnia di Pippo Del Bono, non è il solo a dimostrare che è possibile. Chi avesse dubbi può vedere ?Barboni ? a Roma dal prossimo 18 novembre. Già da anni l?espressione teatrale viene utilizzata sia in centri che si occupano dello sviluppo psico-pedagogico degli handicappati mentali sia in veri e propri laboratori espressivi aperti a disabili e non. Il pensiero dei disabili mentali è essenzialmente intuitivo, più adatto a comprendere situazioni concrete che a seguire ragionamenti logici. E allora non si rappresenta il testo teatrale, ma lo si crea cercando nuovi linguaggi espressivi con i gesti, i colori, i suoni, la musica. Fino a giungere, ma non sempre, all?uso della parola. Bobò non è solo: come lui numerosi altri disabili sono riusciti a diventare da oggetti passivi dell?assistenza a soggetti attivi di comunicazione. Lo dimostra l?attività di tanti gruppi di cui quelli che indichiamo sono soltanto la punta dell?iceberg. Tanto numerosi, e di così alto valore artistico (oltre che terapeutico) che a Milano si è svolto anche il Festival Teatro e Handicap. Tra le principali esperienze segnaliamo qualche indirizzo per saperne di più: Orizzonti oltre l?handicap via Guido Guinizelli, 6 – 20127 Milano tel. 02/2840605; Associazione Teatro d?Oltre Confine piazza Giovanni XXIII – 20094 Corsico (Mi) tel. 02/4400454; Gioilli – Centro Ricerche su Teatro dell?Oppresso e Coscientizzazione – c.p. 81 – 40026 Imola (Bo), tel. 0542/22522; Centro socio-educativo ?L?Anaconda? via Carlo Rainoldi, 7 – 21100 Varese tel. 0332/232152


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