Non profit
Il suo invito: costruite dal bassocontro il big government
Maestri Ricordando Achille Ardigò
di Redazione
Annuisco, abbasso gli occhi, ma soprattutto non so rispondere. Il mio silenzio deve sembrare una domanda perché riattacca: «Già nel 1989 un africano è stato barbaramente ucciso e Cossiga a dire, ma no, non è razzismo, erano solo dei balordi». Incasso e saluto. Che le cose non funzionino, però, me lo ribadisce Jelson non appena giro il capo. È un amico di Abba, ha 23 anni e vive in Italia da quando ne aveva 2. Ma non ha ancora la cittadinanza. Mi dice che era con Abba quella sera, sarebbero dovuti tornare a casa insieme, in macchina. Ma Abba era con due amici a piedi e non voleva lasciarli soli. Il resto della storia la conosciamo entrambi, ahimè.
“Abba” ora si trova sul palco dell’auditorium. Attorno la sua famiglia, in abiti e colori tipici del Paese d’origine. Fa un po’ impressione una salma su un palco, ma la famiglia sembra protetta. Più che dal cordone rosso che li divide dagli astanti, da un sentimento capace di essere intimo anche dinanzi a una folla. Il contegno del padre mette i brividi. Se il dolore potesse essere elegante, il suo lo sarebbe. Forza d’animo e tranquillità celano, apparentemente almeno, un vortice che mi immaginerei incontenibile. Lui invece riesce ancora a sorridere, a rasserenare chi gli si avvicina in lacrime. Salgono le voci femminili. La prima a intonare il coro è la madre di Abdoul. Sono invocazioni. Cosa dica esattamente non so. Ma vedo le prime lacrime scendere, sento la voce sussultare e intendo che non serve alcun interprete per sentire il contatto. Guardo il padre, istintivamente. Piangi, supplico tra me e me. Non lo fa. Sembra il sostegno perfetto per quella donna che infatti si quieta. Proprio allora, però, osservo un capo piegarsi, mani tese a coprire l’affanno, un fazzoletto a rivelarmi che, bianchi o neri, siamo tutti uguali.
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