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Il virus risveglia la paura della morte e ci mette di fronte a un bivio

Riflettere significa porsi delle domande e cercare delle risposte. Cosa ci ha portato a questa situazione? Stiamo facendo il possibile per affrontarla? Quali potrebbero essere delle strategie alternative? C’è qualcosa di utile che possiamo fare, oltre a rimanere a casa e rispettare le regole

di Giuseppe Lorenzetti

Il Corona virus ha risvegliato la paura della morte. Il sofisticato sistema di distrazioni, base fondante della società dei consumi, che ci consente di pensare il minor tempo possibile, non tiene più. Siamo stati costretti a fermarci e ci troviamo davanti a un bivio: riflettere o impazzire.

Riflettere significa porsi delle domande e cercare delle risposte. Cosa ci ha portato a questa situazione? Stiamo facendo il possibile per affrontarla? Quali potrebbero essere delle strategie alternative? C’è qualcosa di utile che possiamo fare, oltre a rimanere a casa e rispettare le regole? C’è forse qualcuno, di diverso da me, per cui questo tipo di isolamento è insostenibile? Cosa possiamo cambiare nelle nostre abitudini di vita per prevenire situazioni simili in futuro e limitare i danni dell’attuale crisi? Le domande sono moltissime e le risposte vanno cercate insieme. Da settimane continuiamo a ricevere messaggi di panico, scenari apocalittici e numeri di morti. Informare è necessario e quando si comunica a tutti bisogna essere il più chiari possibile.

Tuttavia terrorizzare la gente è pericoloso. La storia ci insegna che la paura è una strategia vincente soltanto nel breve periodo. Ciò che si ottiene con essa non è destinato a durare. Il consenso scompare e rimangono diffidenza e sospetto. In troppo pochi si stanno impegnando a fornire delle chiavi di lettura, a dare un senso a ciò che sta accadendo e a creare il terreno fertile per un dialogo che ristabilisca rapporti di fiducia tra cittadini, scienza e informazione.

Impazzire significa sentirsi in trappola. Una delle etimologie di “pazzo” fa derivare la parola dal latino pactum, ovvero “compresso”. Impazziamo quando ci sentiamo bloccati e impotenti, quando non esistono più domande, ma solo certezze. La pazzia è, a suo modo, rassicurante perché ci deresponsabilizza dalle nostre azioni. Tuttavia, allo stesso tempo, ci impedisce di capire, di immedesimarci nell’altro e di essere felici. Quando, in questi giorni, le persone gridano e insultano dalla finestra un passante, non stanno manifestando senso civico, ma semplicemente esprimono il loro panico, il loro sentirsi compressi e impotenti.

Quando esperti e governanti cercano di mettere a tacere, in ogni modo, qualsiasi parere alternativo al loro, non stanno salvando un Paese, ma semplicemente dimostrano la loro paura.

Il poco che ci è stato detto su questo nuovo virus ci permette di capire che non ne sappiamo praticamente nulla. Siamo di fronte a qualcosa di sconosciuto, imprevedibile, pericoloso. E’ dunque inevitabile sbagliare, ma se rinunciamo a una sana riflessione sui nostri inevitabili errori, siamo condannati a perseverare. Nessuno vorrebbe essere al posto di chi decide in questo momento, di chi con una parola o un’altra può influire sulla vita e la morte di migliaia di persone.

Tuttavia, nel nostro piccolo, è compito di ognuno di noi scegliere di fronte a quel bivio. Cedere alla tentazione della paura, dove l’altro diventa un nemico e ci possiamo fidare soltanto di noi stessi. Oppure confrontarci con la nostra immagine, cercare insieme delle risposte, partecipare al dolore degli altri e riflettere sul nostro modo di rispettare la vita.


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