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Immigrazione, Italia: sempre in bilico tra un approccio emergenziale e un’inclusione subalterna

“Il Terzo Settore ha la capacità di trasformarsi e valorizzare i contributi economici, sociali e culturali provenienti da persone di diverse origini geografiche?” Da questa domanda è nato il percorso formativo dedicato alla cittadinanza globale del progetto Formazione Quadri Terzo settore – Fqts. «Dobbiamo superare la logica dei “poverini che arrivano ed hanno bisogno di aiuto”», dice Antonio Ciniero, professore di sociologia delle migrazioni dell’università del Salento

di Anna Spena

Formazione Quadri Terzo Settore – Fqts è un progetto di formazione per i dirigenti delle organizzazioni del Terzo settore meridionali promosso da Forum Terzo Settore e Centro servizi per il volontariato, realizzato con il sostegno della Fondazione Con il Sud. Dalle questioni di genere fino a quelle ambientali, senza tralasciare i percorsi  verso alla cittadinanza globale che si configura, sempre di più, come lo strumento per raggiungere l’interculturalità.

La linea formativa su Terzo settore e cittadinanza globale di Fqts vuole offrire spunti e idee per costruire un percorso di educazione alla cittadinanza globale e rispondere a queste domande: “Il Terzo settore ha la capacità di trasformarsi e valorizzare i contributi economici, sociali e culturali provenienti da persone di diverse origini geografiche? È in grado di impiegare il valore di innovazione culturale portata dalle diverse sponde del Mediterraneo? Possiamo davvero immaginare di superare una visione limitata di mero servizio per abbracciare una visione di interculturalità?”. 

«Basta schiacciare il tema su politiche securitarie e razziste», dice Antonio Ciniero, professore di sociologia delle migrazioni dell’università del Salento che è stato chiamato come docente per tenere gli incontri sul tema. «Quello della cittadinanza globale è un tema che viene viziato dalla politica». Anche nel mondo del Terzo settore: «Bisogna», spiega Ciniero, «superare la logica dei “poverini che arrivano ed hanno bisogno di aiuto”». Quello delle migrazioni è un fenomeno complesso: «Le migrazioni sono lo specchio della società. Le relazioni che le società instaurano con lo straniero non sono neutre o univoche, ma sono sempre espressione dei rapporti di forza e asimmetrie di potere che attraversano le società. Queste relazioni possono avere almeno due possibili figurazioni, che potremmo idealmente collocare ai poli di un continuum: lo straniero come l’altro radicalmente diverso. Se noi siamo l’umano, l’altro è, in questo caso, il non umano. La sua stessa presenza è dunque fonte di minaccia. Il rapporto che le società contemporanee instaurano con gli stranieri, pur continuando ad oscillare tra i due poli del continuum, nell’ultimo quarantennio è stato declinato sempre più marcatamente secondo la visione che fa dell’altro una minaccia o addirittura un nemico da cui difendersi».

In Italia vivono cinque milioni e 300mila persone di origine straniera. «Sono 1.038.046 i cittadini stranieri residenti in Italia che hanno meno 18 anni e sono 1.193.298 i cittadini stranieri residenti in Italia che hanno meno di 20 anni», spiega il professore. «Ma in Italia i flussi migratori sono iniziati 40 anni fa. Ciò significa che sono moltissime le persone che consideriamo migranti ma che in realtà non hanno mai fatto esperienza del percorso migratorio. Da questi dati deduciamo che l’accesso alla cittadinanza nel nostro Paese è incredibilmente restrittivo, nell’Unione Europea siamo secondi solo all’Austria. Inoltre ancora non abbiamo un apparato normativo che non costringa all’immigrazione irregolare. Sintomo questo di politiche migratorie che non funzionano, siamo in bilico tra approccio emergenziale ed inclusione subalterna dei cittadini stranieri».


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Quale può essere il ruolo del Terzo settore in questo contesto? «Fondamentale», dichiara Ciniero. «Innanzitutto hanno dalla loro parte la “fatica” della conoscenza delle storie. Tutte le realtà che si occupano di accoglienza non conosco “il migrante”. Ma conoscono la storia di Fatima o la storia di Ibrahim. E le storie sono sempre più significative dei numeri. Lo straniero, il migrante oggi diventa emblema della stessa condizione umana nella società in crisi, della sua precarietà sociale continuamente alimentata dai meccanismi di frantumazione delle certezze e delle sicurezze individuali e collettive metafora, in parte estremizzata, della più generale condizione sociale che interessa la maggioranza degli individui. Ci dobbiamo muovere verso un riconoscimento che deve essere allo stesso tempo individuale e sociale in una cornice politica ispirata ai principi del cosmopolitismo. ll cosmopolitismo non è uno sbocco automatico, anzi. L’esperienza traumatica dei rischi globali che minacciano l’esistenza di tutti, il riconoscimento dell’esistenza di un pericolo derivante dalla società del rischio non implica affatto il riconoscimento a-problematico dell’altro, del diverso da sé come di colui che è depositario di eguali diritti. Affinché tale progetto politico non resti una semplice enunciazione di intenti è necessario, sia a livello nazionale che internazionale, porre al centro del dibattito politico il tema del diritto alla mobilità e al riconoscimento». Oggi «la garanzia dei diritti dei cittadini stranieri è impensabile senza il supporto del Terzo settore. E questo è un limite: i diritto dovrebbero essere garantiti dalla istituzioni, il Terzo settore non può continuare a supplire nel carenze delle istituzioni».

Foto LaPresse – Mourad Balti Touati


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