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Imprenditoria in montagna? Si può fare!

Ci sono molti giovani che decidono di costruirsi una vita nelle terre alte, ma serve essere consapevoli delle difficoltà: dalle collegamenti meno agevoli ai terreni in salita, fino alla mancanza di credito per chi è donna. Esistono però progetti, come quelli della fondazione Edoardo Garrone, che aiutano chi vuole fare questa coraggiosa scelta

di Redazione

Un gruppo di giovani in un campo lancia in aria delle foglie verso l'obiettivo

Fare impresa in montagna si può. Lo dimostrano i tanti giovani che, con la loro tenacia e il loro impegno, stanno fondando aziende nelle terre alte, nonostante le difficoltà che possono incontrare sul loro cammino. Per quanto il 35% circa del territorio italiano sia montano, infatti, le aree interne non sono ancora valorizzate come dovrebbero e presentano ancora delle oggettive difficoltà per chi decide di viverci e di lavorarci. Un’esperienza di successo è quella di Stefania Reali, giovane che, insieme al suo compagno di vita, ha avviato l’azienda agricola “Cosa tiene accese le stelle” in Val Trompia, una delle tre valli principali della provincia di Brescia.

Stefania Reali ne il marito in un terreno in pendenza, davanti a un campo di zucche
I titolari dell’azienda agricola “Cosa tiene accese le stelle”

Si tratta di una zona particolarmente complessa per chi vuole stabilirci un’attività legata all’agricoltura e al turismo: l’area ha vocazione industriale e artigianale e non richiama molti visitatori. Eppure, i due giovani ce l’hanno fatta, dopo un lungo iter cominciato nel 2012, al termine del percorso di laurea in Unimont, sezione distaccata della Statale di Milano dedicata proprio alla montagna. «Finita l’università io e il mio attuale marito avevamo il sogno di vivere e lavorare in montagna», racconta Reali. «Abbiamo trovato una cascina in alta Val Trompia, con la caratteristica rara di avere molto terreno tutto assieme – due ettari e mezzo, ora diventati tre –, quando di solito gli appezzamenti in quota sono tutti molto frazionati. Ora coltiviamo frutti rari e un po’ dimenticati, ortaggi della montagna, erbe aromatiche e commestibili e abbiamo un laboratorio per la trasformazione». Colture particolari, quindi, secondo i precetti imparati durante gli studi. Perché a Unimont gli insegnanti hanno spiegato che se si vuole spiccare in un contesto complesso come quello della montagna, dove le produzioni non possono certo essere consistenti come in pianura, bisogna valorizzare e diversificare quello che si fa, concentrandosi su prodotti particolari.

«Una delle maggiori difficoltà che abbiamo riscontrato è la morfologia del terreno», continua l’imprenditrice. «Abbiamo dovuto terrazzarne una parte, mentre un’altra la coltiviamo in pendenza. Questo causa un ovvio impedimento per la meccanizzazione; buona parte delle lavorazioni deve essere fatta manualmente». Anche la stagione lavorativa è più corta rispetto a quella in pianura: si va da maggio a ottobre, circa due o tre mesi in meno rispetto a quanto accade a quote più basse.
Sotto gli occhi di tutti è la carenza dei servizi, di cui chi decide di vivere in montagna soffre sia a livello personale e lavorativo. Questo problema, tuttavia, può essere aggirato mettendo in campo alcune strategie di distribuzione. «Per vendere il prodotto dobbiamo spostarci verso il cliente», afferma Reali. «Se dovessimo vivere di quello che vendiamo alle persone che passano di qua non ce la faremmo, abbiamo attivato – già prima del Covid-19 – delle consegne a domicilio».

In questo panorama ci vuole passione, impegno e un grande amore per la montagna. Soprattutto quando bisogna guadagnarsi la credibilità giorno per giorno, come spesso succede alle imprenditrici: quando si è donne e si gestisce un’azienda, infatti, ciò non è sempre scontato. «Succedono episodi che mi fanno sorridere e che, nel 2023, non dovrebbero più accadere», racconta Reali. «A volte alcune persone si rivolgono solo a mio marito Simone come se fosse lui la testa di tutta l’azienda, c’è difficoltà a immaginare una donna che fa lo stesso lavoro di un uomo. Mi chiedono, ad esempio, se vado anche io nel bosco a far legna. Io faccio quasi tutto quello che fa lui, è una cosa che mi rende orgogliosa e che vedo come esempio per mia figlia».

C’è poi da dire che in montagna non bisogna aspettarsi di raggiungere subito il successo: bisogna pazientare, perseverare. «Si tratta di una questione di struttura mentale», commenta Stefania Reali. «Spesso mi è capitato di conoscere altre persone che hanno aperto un’attività simile alla nostra, regredendo fino a scomparire nel giro di pochissimi anni. Si è abituati a voler vedere subito i risultati, ma non è così. L’università e la scuola in generale ci hanno inculcato una forma di resistenza: devi impegnarti a lungo per arrivare in fondo e ottenere un risultato».

Progetti per fare impresa

E se l’impegno e la tenacia sono fondamentali, un aiuto importantissimo arriva anche dai progetti che sostengono coloro che intendono trasferirsi a vivere e lavorare in montagna, Uno di questi è il Progetto Appennino, della Fondazione Edoardo Garrone, che mette i giovani al centro della riqualificazione e della valorizzazione delle aree interne del nostro Paese. Al suo interno c’è ReStartApp, avviato nel 2014, il primo incubatore temporaneo per giovani imprese in Appennino a cui, nel 2016, si è affiancato ReStartAlp, realizzato in collaborazione con la Fondazione Cariplo e dedicato ai territori alpini. Dal suo avvio a oggi l’iniziativa ha visto 12 edizioni – 9 sugli Appennini e 3 sulle Alpi – affiancando circa 150 imprenditori under40 da tutta Italia e contribuendo all’avvio di 56 imprese, accomunate dall’obiettivo di valorizzare, promuovere e sviluppare i territori montani in chiave innovativa e sostenibile.

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In apertura, foto fornita dall’ufficio stampa della fondazione Garrone


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