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Attivismo civico & Terzo settore

Imprese sociali. Una sfida che non si può rimandare

di Felice Scalvini

Che le imprese dell’economia sociale siano figlie di un dio minore, non è ragionevole, ma non deve stupire. Ancora pochissimi lustri or sono proporre l’idea di impresa sociale era considerato stravagante sul fronte imprenditoriale e pericoloso su quello del non profit. Eravamo già nel secondo scorcio degli anni 90 quando chi scrive fu accusato in una riunione dei vertici nazionali di essere “l’Ebola del terzo settore” per aver promosso la nascita di Cosis col supporto della Banca di Roma.
Molta acqua è passata sotto i ponti ed ormai l’impresa sociale è divenuta un punto di riferimento imprescindibile per la nuova stagione delle iniziative sociali e di comunità. È stata promulgata una legge. Ciò nonostante la parità tra imprese for profit e imprese non profit non è ancora stata raggiunta, come dimostra anche la recente vicenda dei Fondo centrale di garanzia per le Pmi (cfr Vita numero 9, 2012). Perché questa situazione? Certamente perché è ancora poco chiaro a molti, e in particolare ai governi che si sono succeduti sino ad oggi, che si possano gestire attività imprenditoriali in forma non profit, ma credo che la riluttanza ad assumere la veste giuridica prevista dalla legge 155/06 da parte delle organizzazioni non profit di carattere produttivo sia una delle cause principali del permanere di questo grave deficit di legittimazione.
Il mondo del non profit deve comprendere e interiorizzare che l’esercizio di attività economiche, ancor più se direttamente finalizzate al bene comune, richiede una cospicua dote normativa. La ragione di tutto ciò è che l’esercizio di attività economiche e di alcune in particolare, come quelle bancarie e finanziarie che hanno a che fare con interessi di carattere generale, richiede un robusto e dettagliato presidio normativo. Può il non profit immaginare che la sua discesa in campo nell’ambito dell’economia possa avvenire a condizioni normative invariate? La risposta è no, e le non ancora concluse vicende del San Raffaele da un lato e dell’assoggettamento dei beni della Chiesa all’Imu, dall’altro, dovrebbero insegnare qualcosa.
Non credo che si raggiungerà la piena cittadinanza delle imprese sociali e la conseguente ammissione a tutti gli istituti di sostegno dell’attività economica, tra cui il Fondo di garanzia varato da Monti, sinché il mondo del non profit non deciderà di uniformarsi alla normativa della 155, assumendosi gli oneri relativi che altro non sono che l’estensione al mondo del non profit degli adempimenti da sempre previsti per le imprese for profit.
Tutto ciò è troppo oneroso e rende difficile il mantenimento e lo sviluppo dell’attività? La storia, segnata da un clamoroso sviluppo, delle cooperative sociali, che questi adempimenti li hanno dovuti onorare da sempre, dimostra il contrario. Una robusta struttura di norme rappresenta un fattore di successo per le organizzazioni e permette di rivendicare su tutti i fronti, ivi compreso quello fiscale, riconoscimenti e trattamenti adeguati. Tra l’altro non mancano provvedimenti legislativi, come l’art. 72 della legge 448/98 relativo alla “Estensione degli incentivi pubblici alle imprese sociali”, già in grado di segnare il percorso.
Alle imprese dell’economia sociale e ai leader del terzo settore la sollecitazione a percorrerlo con convinzione e sollecitudine: i risultati non potranno mancare.


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