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Aree interne

In città c’è sempre più desiderio di montagna

Secondo un report realizzato da Euclipa.it con il coinvolgimento di molti ricercatori delle università di Milano e Torino, molte delle persone che vivono in città - circa un terzo - vorrebbe trasferirsi almeno per una parte dell'anno verso i Comuni montani. Questi flussi migratori vanno però analizzati tenendo conto della loro fluidità: non tutti spostano la residenza e molti scelgono di spostarsi solo per alcuni mesi all'anno

di Veronica Rossi

Un bosco in primo piano e le dolomiti innevate sullo sfondo, con un cielo velato di nuvole

Dalla montagna non c’è solo la tendenza a scappare. Anzi, molti abitanti delle città vorrebbero andare a vivere – almeno per lunghi periodi all’anno – nelle terre alte. Lo dimostra il rapporto Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metromontagna padana, documento finale del progetto Miclimi, realizzato da Euclipa.it e finanziato dalla fondazione Cariplo, che ha visto il coinvolgimento di numerosi ricercatori dell’università degli studi di Milano e dell’università di Torino, della Società meteorologica italiana, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni – Iom Italia, della Città metropolitana di Torino, dell’Arpa Lombardia, dell’Arpa Piemonte e di Riabitare l’Italia.

«Abbiamo svolto una ricerca abbastanza ampia e complessa, che ha riguardato tutta la Pianura padana e la montagna circostante», dice Andrea Membretti, professore dell’università di Torino, ambasciatore dell’European climate pact e curatore del rapporto assieme a Gianni Tartari. «Ci siamo concentrati su tre ambiti; il primo è stato il cambiamento climatico in atto e in previsione nei prossimi anni, soprattutto in Lombardia e in Piemonte», continua il professore. «Abbiamo fatto un’analisi della fragilità socio-ambientale dei territori, sia in pianura sia sui rilievi; ne è risultato quello che già sapevamo, ma in maniera più articolata: nei prossimi dieci anni nelle grandi città ma anche nelle aree pianeggianti in generale sarà molto difficile vivere per tre o quattro mesi all’anno, a causa dell’aumento delle temperature e dell’inquinamento». Ma non solo: verrà impattata anche la dimensione socio-economica e molte zone diventeranno più fragili da questo punto di vista. Questi fattori potrebbero costituire una spinta importante verso altre zone rispetto a quelle cittadine, in special modo verso la montagna, che circonda la Pianura padana e che permette forme di pendolarismo e di residenza multilocale, senza obbligare a un trasferimento definitivo.

Il secondo ambito di ricerca su cui si è concentrato il progetto ha riguardato le effettive cancellazioni dalle anagrafi delle due principali città del Nord-ovest – Milano e Torino – verso i Comuni montani e l’analisi delle zone più attrattive per chi ha cancellato la propria residenza dalle metropoli negli ultimi cinque anni e si è spostato verso la montagna. «Abbiamo visto numeri ancora decisamente contenuti, però abbiamo notato un picco nell’aumento delle residenze nel 2020, dopo la pandemia. Le due città hanno comportamenti diversi; Torino ha mostrato in misura maggiore una tendenza allo spostamento verso le valli limitrofe, che comincia a essere interessante. C’è una superiore interconnessione per com’è strutturata la città metropolitana, che arriva fino al confine francese».

La copertina del report

Se la cancellazione delle residenze non è un fenomeno così rilevante, si può ipotizzare che ci siano degli spostamenti che rimangono sottotraccia: quelli di chi passa molto tempo in montagna, anche gran parte dell’anno, senza prendere la residenza. «C’è un’idea più fluida della migrazione, che rende obsoleti i sistemi di raccolta dati attuali, basati sull’anagrafe», afferma Membretti. «I giovani non pensano di andare in un paese di montagna e di radicarsi lì per il resto dei loro giorni o di lasciare la montagna e andare in città e non tornare più. Se si potesse fare ricerche utilizzando le celle dei telefoni mobili avremmo un panorama della migrazione circolare e della residenzialità molto diverso, perché le persone passano lunghi periodi in luoghi in cui non hanno preso la residenza formale e nemmeno il domicilio».

La terza area di ricerca ha riguardato la propensione a spostarsi in montagna da parte di chi vive nelle principali città di tutta la Pianura padana, Torino, Milano, Bologna, Padova, Venezia, con la collaborazione della società di sondaggi Swg di Trieste. Sono stati interpellati più di 2mila soggetti ed è stato riscontrato un interesse diffuso verso la montagna. «Da una parte c’è una preoccupazione crescente per la qualità della vita che si pensa stia peggiorando in maniera progressiva nelle grandi città, anche in relazione al cambiamento climatico, con ondate di calore, inquinamento, eventi estremi e in generale situazioni climatico ambientali che rendono difficili vita, lavoro e movimento all’interno delle aree metropolitane», commenta Membretti, «dall’altra abbiamo visto che addirittura circa un terzo dei rispondenti ha un interesse verso la montagna come ipotesi di futuro trasferimento permanente o per lunghi periodi».

Le persone, tuttavia, sono consapevoli del fatto che gli effetti del cambiamento climatico sono presenti anche nelle terre alte e che queste zone andrebbero messe in sicurezza in qualche modo. Essi stessi non si sentono preparati: chiedono informazione, formazione e accompagnamento per questo spostamento, oltre ai servizi essenziali. «I giovani non si preoccupano tanto che ci sia vicino un ospedale o che si possa arrivare velocemente al centro commerciale», conclude il professore. «A loro interessa il fermento culturale, il fatto che l’amministrazione metta a disposizione degli spazi per mettere in campo iniziative e la disponibilità di alloggi, che spesso sono un problema nei paesi di montagna, nonostante il patrimonio immobiliare inutilizzato. Ovviamente ci deve essere la possibilità di lavorare, non bastano gli smartworker, i cosiddetti nomadi digitali. Ci deve essere l’accesso alla terra e al bosco per sfruttarli in maniera condivisa, magari nella forma dell’associazione fondiaria o della cooperativa di comunità; i borghi non blasonati a livello turistico dovrebbero trasformarsi in una sorta di piccola impresa sociale, in un il paese si attrezza per rendersi attrattivo».

Immagine in apertura da Pixabay


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