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Intorno a Estate crudele – intervista ad Alessandro Bertante.

di Jacopo Guerriero

C’è un avvertito desiderio – l’azzeramento di ogni realismo e la costruzione di una lingua capace di filtrare una visione del mondo apocalittica, sentita classica del nostro tempo – a governare l’ultima prova romanzesca di Alessandro Bertante: Estate crudele (Rizzoli, 216 pp. 17 euro). Una storia a trama semplice.

Alessio Slaviero, il protagonista, è criminale di quartiere tra viale Padova, viale Monza e la stazione centrale, a Milano, il triangolo dell’inculturazione razziale mai riuscita. La sua vita, nell’estate più calda di sempre, quella del 2003, è spaccio di droga (e dipendenza). Soprattutto: è confronto con i fantasmi angoscianti di un’età dell’oro trascorsa, quella della sua giovinezza romantica. Quando la pax militare del quartiere (per un omicidio inutile) si romperà, a Slaviero il compito di avviare un percorso di ripristino dell’ordine, tra etnie, famiglie avverse, ritualità differenti. La catarsi non sarà indolore.

Quello che ci sta più a cuore rilevare: Bertante è un autore che,  solo con se stesso, dopo lo scoppio della bolla del NIE, senza troppe commistioni con ideologie o residui degli anni trascorsi, ancora si affida alla parola come esperienza vitale e di senso, forse pretendendosi rappresentativo di un’intera stagione letteraria, quella complessa che attraversiamo. Gli abbiamo posto qualche domanda:

 la vicenda che narri è minimale. La peste, la malattia, la deriva apocalittica sembrano invece  le vere protagoniste di Estate crudele. Accetti la definizione?

Sicuramente queste componenti rivestono un ruolo molto importante per definire il percorso emotivo del protagonista, Alessio Slaviero, che nella malattia, nella solitudine, nella dipendenza, nel caldo opprimente trova i fattori necessari per evidenziare il suo disgusto ma anche, paradossalmente, per continuare a sopravvivere.

Forse non il migliore degli obiettivi data la decadenza che lo circonda e di cui sente il peso.

La sua è una deriva umana ed estetica come più volte sottolinea: Slaviero si specchia in una società tumefatta e questo continuo confronto lo rende suo malgrado orgoglioso. Slaviero pensa di essere un cavaliere, ed è sincero in questa sua posticcia alterità.

Nel libro il ricorso a retoriche epiche, all’invettiva, alla deformazione e al grottesco sono al servizio di cosa?

Servono a fare deragliare il confronto con l’esistente. Una prosa controllata può funzionare in un contesto verosimile. Ma a me non interessa il verosimile, a me interessa il realismo dell’eccesso che poi è l’unico realismo possibile in questo periodo storico. Il lettore deve provare disagio a confrontarsi con la scrittura, deve provare pudore, deve essere disturbato da una realtà eversiva ma fin troppo riconoscibile. Che è la nostra.

 Mi incuriosisce il fatto che Slaviero sia uno spacciatore ma anche un intellettuale. La salute dell’intelligenza nasce da una materia torbida e malata, inidonea ad esistere, diceva Manganelli..

Slaviero è uno spostato e uno sconfitto e questa sua condizione lo accomuna alle figure classiche dalla letteratura moderna, pensa a Raskolnikov. Francamente non so se sia un intellettuale, certo è una persona molto colta, un uomo che ha studiato perché pensava che questo suo impegno comportasse una emancipazione sociale. Ma comunque io credo che si debba cambiare il punto di vista, trovare chiavi d’interpretazione più attuali. Specie in Italia, un paese dove, in nome di un populismo straccione, il termine intellettuale è oramai dispregiativo a tutti gli effetti. Temo che questo sia uno dei primi sintomi della nostra decadenza.

Una parola sullo scenario, che è qualcosa che riesci a tratteggiare molto bene: Milano. Il potenziali sociale delle città è sempre più eroso. Qual è secondo te l’agente scatenante di queste dinamiche? E’ solo una questione di capitalismo aggressivo?

Io credo che il capitalismo sia in una fase oramai matura e quindi si avvii a una repentina decadenza, perlomeno da noi in Occidente. Come formula di gestione economica dell’esistente è piuttosto recente e non credo abbia ancora molto tempo davanti a se. E questo perché non è possibile ipotizzare la sopravvivenza sul lungo periodo un sistema politico e sociale basato sulla continua espansione del consumo. Non ci sono le risorse energetiche per farlo e non lo possiamo sopportare a livello ecologico. E non sto parlando di ridistribuzione delle risorse ma solo di produzione e distribuzione.

E quindi?

Questo avviarsi verso la decadenza strutturale del capitalismo, per usare un termine marxista, inevitabilmente porta con se delle ripercussioni sociali già evidenti nelle nostre metropoli. Le dinamiche sono molti simili ovunque: ovvero una uniforme riconoscibilità del disagio che non consente più la scalata sociale che poi è il primo vero mito del capitalismo nella sua fase aurorale. Compito dello scrittore, o dell’intellettuale per tornare all’argomento di prima, è registrare queste dinamiche per poi cercare di interpretarle.

Tornando a Slaviero: il suo percorso di decadenza (non la sua tragedia) comincia negli anni Ottanta –o comunque: egli ha vissuto quella temperie. Narrativamente quel decennio è materia enorme che in pochi hanno affrontato. Potrebbe idealmente starci un prequel a questo libro? E tu che ricordi hai?

Hai colto nel segno. Estate crudele è un libro per me importante perché è il prologo di un lungo lavoro dedicato agli anni Ottanta, decennio formidabile, ma veramente, nel quale finisce la contemporaneità, aprendo a qualcosa di nuovo che ancora non possiamo definire. Decennio tragico e pericoloso, difficile da affrontare e infatti quasi privo di una narrazione matura, escludendo la coeva ma inconsistente mitologia dedicata alla “Milano da bere”, al fashion e quant’altro.

Colpisce il  finale, smaccatamente tragico,   che sembra alludere a un’ipotesi di salvezza da ricercarsi solo in una dimensione privata. Si può leggere così?

Questa è la componente essenziale di tutti i miei romanzi, la tragedia come espressione finale di una fortissima tendenza romantica, un “forte sentire” inteso nel senso letterario del termine; infatti i critici marxisti non la capiscono e talvolta non la tollerano, inseguendo riflessi pavloviani secondo me un po’ datati. Se ci pensi l’amore come elemento salvifico è centrale sia in Al Diavul che in Nina dei Lupi, come del resto il confronto con il mito e la leggenda. Questa è la mia poetica e lo sarà anche nei libri futuri.


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